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Pinocchio di Matteo Garrone: straniante metafisica dell'oggi.

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Matteo Garrone rilegge la favola di Collodi restituendole sia la sua dimensione ancorata al mondo contadino della Toscana post unitaria che il coté cupo e inquietante che caratterizzava alcuni passi delle Avventure di Pinocchio (la bambina morta nella casina bianca; gli assassini che impiccano il burattino senza fili). E da un autore come Garrone ci si deve aspettare proprio quello che fa: tradire la favola. Come? Accentuandone i toni ferali e luttuosi e sostanziando le immagini attraverso una particolare diottria mortuaria che sfocia, a volte, nel macabro. Attraverso inquadrature che esaltano la profondità di campo emerge il vuoto di spazi che fagocitano in una tensione metafisica che via via appesantisce la visione del film. Sì, è vero che Garrone fa bene a non sottomettersi ad un mero (e acritico) approccio calligrafico o ad una meccanica messa in scena, ma ciò non toglie che la sua riuscita sintesi di istanze commerciali con quelle autoriali rischia di deludere chi, come il s