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Visualizzazione dei post da maggio, 2018

In nome della Demenza

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In nome della Demenza io certifico lo stato di grave agitazione dello Stivale che galleggia nel Mediterraneo. In nome di questa, sissignori, invoco, qui, al mio cospetto, Zeus per processare il corpo (non l'anima) di Giulio Cesare, stuprato dalle coltellate dei senatori. In nome della libertà vi chiamo a raccolta nelle piazze e nei social e, senza pensare, v'invito a pensare. In nome dell'ignoranza più colossale v'invito a prendere la bandiera italiana e ad appenderla fuori dalle finestre, nonchè a non utilizzare la carta igienica al rovescio. In nome di ciò sono autorizzato a dirvi che noi siamo il cambiamento: e andiamo nelle piazze e sotto i portici e gridiamola tutta la nostra santa indignazione, scontriamoci contro i tecnocrati e i plutocrati. Spezzeremo le reni a chiunque non vorrà ragionare con la nostra testa e faremo il pane giocando non più su due forni, ma su tre, ai quali aggiungeremo un panificio che produca pane dall'acqua. E imbottiglieremo anch

Il gattopardo: la trama e la metafora decadente dell'esistenza.

«Nunc et in hora mortis nostrae. Amen» . Si apre con tale formula liturgica il Gattopardo – quasi un’epigrafe riassuntiva della materia trattata – e subito ci troviamo in medias res , durante la fine della recita del rosario quotidiano, nel palazzo del Principe di Salina, protagonista del romanzo, intorno al quale si incentra la narrazione in momenti ‘presi a caso’ nell’arco di cinquant’anni, dal 1860 al 1910. Saranno cinquant’anni in cui si assisterà all’inesorabile declino della famiglia Salina, nobile casata fedele ai Borbone. Il Gattopardo , dunque, è una grande e sontuosa metafora di morte che prende a pretesto la storia per costituire la dimensione mitica necessaria alla realizzazione della sua funebre poetica. Questa la causa, insieme alla concezione di Lampedusa che i grandi autori non abbiano bisogno di inventare situazioni e vicende, del ‘non intreccio’ del romanzo, riassumibile in poche righe: Tancredi Falconeri, nipote e figlio adottivo di Don Fabrizio, si unisce ai

I più belli del mondo

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Festeggiano e brindano al lavoro, nell'ultimo piano della Banca più bella del mondo, di proprietà della multinazionale più dolce del mondo. Sono in un super attico meraviglioso, impreziosito dalla piscina più grande e più bella del mondo. Sono pochi e sorridono - e sicuramente sono i più belli del mondo - mentre il cielo è il più azzurro del mondo e anche quando piove, là, sempre azzurro rimane. Nessuna traccia lassù di colori scuri, nulla, per esempio, che rimandi alle tinte cupe del petrolio. Festeggiano come tutti, ma loro, in fondo, sono gli unici che ne hanno motivo, perché brindano per il lavoro degli altri, quello che li tiene lassù, nel luogo più bello del mondo. E si rammaricano un po' per quelli che di lavoro non ne hanno: peccato, avrebbero portato altro azzurro a loro, i più belli del mondo. Sorridono, invece, per chi è tiranneggiato dallo Stato e affoga nel grigio. Sorridono con distacco e commiserazione, lo sanno che lo Stato, di qualunque colore sia, sarà