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Visualizzazione dei post da 2018

Lo scacco del realismo

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Sempre più spesso mi capita di leggere libri (mi riferisco a quelli recenti, stampati in Italia) o di dare loro un'occhiata e, tendenzialmente, mi trovo di fronte allo scacco del realismo. Molti scrittori di oggi guardano la realtà attraverso il filtro - sembra un paradosso - del realismo e scambiano questo stesso filtro per l'oggetto del loro raccontare. Ma dietro tale difficoltà, dietro lo scacco del realista che non riesce a cogliere la realtà, c'è, anche, un problema annoso legato al provincialismo di certa parte dell'élite (?) culturale italiana.  Tomasi di Lampedusa aveva ragione quando sosteneva che in Italia la letteratura umoristica e, in special modo, quella legata al nonsense probabilmente non attecchiranno mai. Per questo ai letterati italiani pare opportuno, e probabilmente necessario,  oggi come ieri, trovare assai divertente l'ironia di Ariosto e Manzoni (per inciso, io sono fra coloro che venerano Messer Ludovico e l'Alessandrone naziona

Briatore e il Billionaire: Costa Smeralda stuprata

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Agosto 2018, ore 23. Sono in macchina, tra casa mia e il Billionaire; mi ferma un uomo di mezza età, calvo, spiritato. Ha un giubbotto catarifrangente e un arnese che s'illumina per attirare l'attenzione. Mi urla di girare a destra. - Perchè? - Briatore non vuole che nessuno scenda di qui. - Questa strada è pubblica, mica di Briatore. Alla mia risposta il tipo spiritato si altera, mi offende. Io gli rispondo per le rime, vado per la mia strada. Flavio Briatore, uomo di modesto spessore culturale, in evidente affanno nel coordinare anche la più semplice proposizione, ha fatto le cose per bene. Si è circondato di leccapiedi di Arzachena - nani, ballerine, amasi - e fa ciò che vuole. Rilascia stomachevoli interviste ai giornali in cui pontifica sulle corrette strategie del turismo e intanto occupa strade con i suoi scagnozzi da quattro soldi, le utilizza abusivamente come parcheggi, viola costantemente le norme con decibel alle stelle per pompare la sua orribile musi

Il nostro meraviglioso porcile

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Una donna argentina lava, stira, spolvera con trentacinque gradi all'ombra. Sorride. - Lindo - dice - lindo - e sorride. Non parla italiano. Gioisce per i quindici euro in nero, dopo tre ore di lavoro. Al Billionaire non si fanno mancare nulla. I leccapiedi autoctoni. Le strade occupate abusivamente. I palestrati espressivi come un gommone che indossano la divisa da Security (hanno la pistola e non capiscono quello che leggono, ma forse per questo rassicurano). Le ragazze svestite per ricordare a chiunque che quando si va in macelleria la carne si compra e la loro carne è buona. Il buon Flavio Briatore, che unge di qua e di là, assicura che il suo locale non è solo per persone speciali, ma anche per i comuni ragazzotti che spendendo prezzi contenuti possono mangiare una pizza e ballare (e sognarsi diversi?). - Aiutiamoli a casa loro. - Chi? Quelli a cui prima abbiamo tolto tutto a casa loro? - Che vuoi dire? - Quello che ho detto. Tu che faresti al loro posto? - M

Salvatemi dai poeti di facebook

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Salvatemi dai poeti di Facebook, ve ne prego. Dite loro che non basta andare a capo (quasi sempre a caso) per scrivere una poesia. Salvatemi dalle ragazze innamorate, querule, malinconiose e sofferenti, dai loro tormenti sempre accompagnati da strazi, rimpianti, turbamenti da letteratura d'appendice. Basta con quei gratuiti puntini di sospensione orbitanti nel nulla, tripudio di sciatteria da analfabetismo di ritorno: sono tre i puntini di sospensione, ragazza sensibile e innamorata, non due, non quattro, non cinque. Tre, solo tre. Salvatemi dai tromboni del verso libero presunto, che accigliati tuonano austeri, fra senari incerti e zoppicanti quinari, che ormai cultura, sapienza e poesia si sono estinte e morte ci attende, da qui in avanti. Deh, Calliope perché il natio cinabro delle labbra tue non sussurra agli orecchi di tal coorte di stenterelli che fia men doglia a questa destinarsi ad altro spasso? Salvatemi da questuanti trogloditi che anelano alla gloria del "m

"E se non piangi, di che pianger suoli?"

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Come fai a piangere quando la tua squadra del cuore viene eliminata in coppa, quando una canzone struggente rievoca il tuo passato perduto, quando l'ultima puntata della tua serie preferita consegna un commovente epilogo; come fai, quando poi esulti per i morti in mare? Per i porti chiusi ai disperati? Non mi voglio sentire buono, non scrivo questo a tale scopo. Ma per sentirmi umano. Che significa essere clandestini?  Si può essere clandestini della vita? Si può essere stranieri a casa propria? Si può essere stranieri nel mondo? Si può concepire che un problema reale e complesso si possa provare a risolvere tutti insieme? Se Tizio odia Caio, potrà mai un giorno risolvere dei problemi se ha bisogno del suo aiuto? Se Caio ammazza Sempronio e poi piange per la morte del suo gatto che cos'è? Un uomo? Una bestia? Un italiano? Un clandestino? Un terrorista? Un fascista? Un europeo? Un civilizzatore? Un moralizzatore?  Quando dici è finita la pacchia, per chi lo f

In nome della Demenza

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In nome della Demenza io certifico lo stato di grave agitazione dello Stivale che galleggia nel Mediterraneo. In nome di questa, sissignori, invoco, qui, al mio cospetto, Zeus per processare il corpo (non l'anima) di Giulio Cesare, stuprato dalle coltellate dei senatori. In nome della libertà vi chiamo a raccolta nelle piazze e nei social e, senza pensare, v'invito a pensare. In nome dell'ignoranza più colossale v'invito a prendere la bandiera italiana e ad appenderla fuori dalle finestre, nonchè a non utilizzare la carta igienica al rovescio. In nome di ciò sono autorizzato a dirvi che noi siamo il cambiamento: e andiamo nelle piazze e sotto i portici e gridiamola tutta la nostra santa indignazione, scontriamoci contro i tecnocrati e i plutocrati. Spezzeremo le reni a chiunque non vorrà ragionare con la nostra testa e faremo il pane giocando non più su due forni, ma su tre, ai quali aggiungeremo un panificio che produca pane dall'acqua. E imbottiglieremo anch

Il gattopardo: la trama e la metafora decadente dell'esistenza.

«Nunc et in hora mortis nostrae. Amen» . Si apre con tale formula liturgica il Gattopardo – quasi un’epigrafe riassuntiva della materia trattata – e subito ci troviamo in medias res , durante la fine della recita del rosario quotidiano, nel palazzo del Principe di Salina, protagonista del romanzo, intorno al quale si incentra la narrazione in momenti ‘presi a caso’ nell’arco di cinquant’anni, dal 1860 al 1910. Saranno cinquant’anni in cui si assisterà all’inesorabile declino della famiglia Salina, nobile casata fedele ai Borbone. Il Gattopardo , dunque, è una grande e sontuosa metafora di morte che prende a pretesto la storia per costituire la dimensione mitica necessaria alla realizzazione della sua funebre poetica. Questa la causa, insieme alla concezione di Lampedusa che i grandi autori non abbiano bisogno di inventare situazioni e vicende, del ‘non intreccio’ del romanzo, riassumibile in poche righe: Tancredi Falconeri, nipote e figlio adottivo di Don Fabrizio, si unisce ai

I più belli del mondo

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Festeggiano e brindano al lavoro, nell'ultimo piano della Banca più bella del mondo, di proprietà della multinazionale più dolce del mondo. Sono in un super attico meraviglioso, impreziosito dalla piscina più grande e più bella del mondo. Sono pochi e sorridono - e sicuramente sono i più belli del mondo - mentre il cielo è il più azzurro del mondo e anche quando piove, là, sempre azzurro rimane. Nessuna traccia lassù di colori scuri, nulla, per esempio, che rimandi alle tinte cupe del petrolio. Festeggiano come tutti, ma loro, in fondo, sono gli unici che ne hanno motivo, perché brindano per il lavoro degli altri, quello che li tiene lassù, nel luogo più bello del mondo. E si rammaricano un po' per quelli che di lavoro non ne hanno: peccato, avrebbero portato altro azzurro a loro, i più belli del mondo. Sorridono, invece, per chi è tiranneggiato dallo Stato e affoga nel grigio. Sorridono con distacco e commiserazione, lo sanno che lo Stato, di qualunque colore sia, sarà

Io sto bene, e tu?

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Mi fermi, mi prendi la mano, cominci a parlare. Io sto bene, e tu? Parli, non sempre senza sapere di che cosa, e poi mi dici che il tempo sta cambiando e non ci sono più le mezze stagioni. Parli, e mentre provo io a farlo continui, alzi il tono e mi lasci a bocca aperta. Io sto bene, e tu? Ti muovi a tuo agio mentre disquisisci di scie chimiche, di politica e di bene comune. Intorno a noi cadono i calcinacci, i topi forse invaderanno presto la città, l'analfabetismo politico dilaga, mi assale, mi assilla. Io sto bene, e tu? Mi chiedi se ho letto, da qualche parte, (su facebook?) la spassosa serie di volgarità di non so quale Carneade illustre. Intorno gente che corre, grida, s'affanna, sbraita con occhi scerpellati, smerigliati, stupefatti da cocaina o dalle malie di uno smartphone. Io sto bene, e tu? Mi viene da vomitare se ritornano nella mia mente Sky, i centri commerciali megagalattici e alienanti, le multinazionali. Il conato cresce se davanti ai

Ma quale professore!

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Sento la primavera, una stramaledetta nostalgia mi assale. E il mio vecchio vizio di non voler essere quello che gli altri vogliono che io sia mi domina ancora. Ripenso all'autenticità del ragazzo che fui: bastava un goal di Klinsmann, una nuova canzone di Bennato, un passaggio in TV del western di Leone. E mi ricordo di dieci anni fa, oggi, sì: 15 aprile 2008. Ero a Sassari, forse con una ragazza, non ricordo. Seduto nel bar di fronte alla Facoltà parlavo e una sensazione di gioia incontrollabile mi faceva sognare. Non sapevo che cosa la orientasse, ma era meraviglioso. Ieri come oggi, la stessa frenesia. Non volevo già allora essere professore, non lo voglio ora.  Mi sento sempre quel bambino ingenuo e un po' fuori posto degli anni Ottanta; quel ragazzo anarcoide e a modo suo degli anni Novanta. Intorno il circo delle apparenze non mi incanta. Mi annoia. Sa di grigio e ipocrita. E io, al solito, partecipo svogliato al girotondo. Lascio le mani degli altri, e sul

Dimmi come guardi un film e ti dirò chi sei

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Dimmi come guardi un film e ti dirò chi sei. Meglio ancora: ti dirò quel che siamo, quale immaginario abbiamo accolto e quali rapporti economici e sociali si celano dietro questa 'consapevole' scelta. Il cinema nasce come spettacolo popolare. La sala era, ed è, luogo comunitario, sociale (politico, aggiungo). I film girati per il grande schermo utilizzano, infatti, un linguaggio peculiare. Poi, un bel giorno, arriva la televisione: chi vede un film al cinema e poi se lo ritrova in TV, spesso non lo riconosce. Di conseguenza ecco i film girati ad hoc e serie televisive: logico, si investe nel nuovo mercato. Chi ha provato a seguire un film per la TV proiettato sul grande schermo pare sia rimasto annichilito da tale esperienza. I linguaggi sono troppo differenti. Nel frattempo tutto si velocizza, arriva internet, i cellulari sostituiscono il cervello di alcuni esseri viventi e la produzione di opere audiovisive aumenta, s'ingigantisce, s'innervosisce per

Cinquanta sfumature Di Maio

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C'è qualcosa di Romantico nel Movimento Cinquestelle, nella sua accezione più squisitamente letteraria (e quindi, come sa bene Di Maio, irrazionale). Indignati, umiliati e offesi da decenni di Governi della mummia Berlusconi e da altrettanti indegni dei Sinistri scendono in piazza ben sapendo che la politica è un affar serio: ce lo spiega anche un comico, o presunto tale (sfortuna, per tutti, che non abbia avuto al cinema successo, non avrebbe sfogato la sua frustrazione da signor Nessuno).  Romantico e nobile, questo afflato ha caratteri oclocratici (e Di Maio, uomo colto, sa bene che intendo) ed è fecondato dalla disperazione. Era stato il malessere a favorire il Fascismo, la frustrazione, il dolore, la grettezza nel secolo scorso. Anaciclosi, come scriverebbe Polibio (e Di Maio, uomo colto, sa a che mi riferisco)? Romantica è l'idea che un movimento affronti 'di pancia' questa sfavorevole congiuntura e attraverso la rete, e un po' di 'sana' al

"Giorgio Bassani: prigioniero del passato, custode della memoria" di Sophie Nezri-Dufour

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La pubblicazione di una monografia critica su Giorgio Bassani, uno degli scrittori maggiormente significativi del Secondo Novecento italiano, è già di per sé una notizia meritoria di attenzione, poiché l'autore ferrarese, negli ultimi anni, viene ricordato molto meno di quanto sarebbe giusto. Se poi si aggiunge a ciò che la mano di chi firma l'opera è quella di Sophie Nezri-Dufour - specialista di letteratura della Shoah, studiosa di Bassani, Primo Levi, Tomasi di Lampedusa - allora ecco quanto sia doveroso accogliere con entusiasmo il volume, pubblicato per Franco Cesati Editore, dal titolo  Giorgio Bassani: prigioniero del passato, custode della memoria  ( l a prima edizione del libro è stata pubblicata in francese nel 2015). Sophie Nezri-Dufour si concentra, giustamente, sul  Romanzo di Ferrara , ne svela le ragioni profonde, legate alla biografia dell'autore, testimone dell'epifania dell'assurdo che ha nel Fascismo e nelle persecuzioni razziali la sua pi

"Antropologia e letteratura" di Antonino ed Emanuele Buttitta

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Siamo in macchina, fermi. Emanuele, al posto di guida, parla al telefono; Alessio è seduto davanti, io dietro. Non ricordo l'anno, ma la città è Sassari. Forse abbiamo da poco finito di fare esami.  Emanuele parla con suo padre, non si vedono da un po'. Sono con Alessio e Filippo, dice, sì, andiamo a mangiare tutti insieme, vicino ad Alghero. Ma sia io che Alessio abbiamo delle remore, scendiamo dalla macchina, pensiamo sia giusto così, è passato qualche mese dall'ultima volta in cui Antonino Buttitta è stato in Sardegna; vogliamo, per discrezione, farci da parte. Emanuele non sente ragioni, ci invita a risalire in macchina. Noi opponiamo resistenza. Ad un tratto, Emanuele rimane in silenzio e mi guarda. Non c'è bisogno di parlare, fra di noi. So che significa quello sguardo, mi giro verso Alessio: andiamo. Quel momento mi è ritornato alla mente quando ho scartato il pacco che mi ha inviato Emanuele. Il libro che ha scritto con suo padre è uscito per Sel

Sarà dolce per noi

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Nel dogmatismo degli stereotipi ci si può (ci si deve?) esercitare. Dirò di più, lo stereotipo (al cinema, nei romanzi) quando non è subito, ma 'preso di petto' è assai divertente. Il che non significa abbandonarsi ai luoghi comuni, al contrario: lo sguardo deve (per chi scrive, ovvio: non detengo verità) essere sempre altro, iconoclasta, magari. E la trama? Un pretesto, o poco più: un 'significante', non necessariamente un significato.  Detto ciò, Sarà dolce per noi è quello che è: un esperimento, in attesa di altro (che, come si suol dire, è in fase di costruzione).  Sicuramente è lontano da quanto premesso poco sopra. Pubblico di seguito il link, per soddisfare la curiosità di chi mi chiede: - Dove posso vederlo? I quattro che vedete qua sotto hanno, indubbiamente, il loro carisma. https://www.youtube.com/watch?v=8oMhhnyDnTE continua...