"Antropologia e letteratura" di Antonino ed Emanuele Buttitta


Siamo in macchina, fermi. Emanuele, al posto di guida, parla al telefono; Alessio è seduto davanti, io dietro. Non ricordo l'anno, ma la città è Sassari. Forse abbiamo da poco finito di fare esami. 
Emanuele parla con suo padre, non si vedono da un po'. Sono con Alessio e Filippo, dice, sì, andiamo a mangiare tutti insieme, vicino ad Alghero.
Ma sia io che Alessio abbiamo delle remore, scendiamo dalla macchina, pensiamo sia giusto così, è passato qualche mese dall'ultima volta in cui Antonino Buttitta è stato in Sardegna; vogliamo, per discrezione, farci da parte.
Emanuele non sente ragioni, ci invita a risalire in macchina. Noi opponiamo resistenza.
Ad un tratto, Emanuele rimane in silenzio e mi guarda. Non c'è bisogno di parlare, fra di noi. So che significa quello sguardo, mi giro verso Alessio: andiamo.

Quel momento mi è ritornato alla mente quando ho scartato il pacco che mi ha inviato Emanuele. Il libro che ha scritto con suo padre è uscito per Sellerio da pochi giorni, lo presenteranno Pietro Clemente e Alessio, Alessio Giannanti, domani 11 febbraio, a Palermo, a un anno dalla scomparsa di Antonino Buttitta. 



Ho sempre pensato che un libro significa quando riesce ad essere contemporaneamente atto di conoscenza e atto d'amore. 
Antropologia e letteratura è, in tal senso, un libro ad alto tasso di significazione, lontanissimo da qualsiasi cedimento idealistico, alieno dalla pericolosa tensione che innesca la formulazione di giudizi estetici. 
Ho letto tanto, anni fa, sulla rappresentazione autobiografica di Tomasi di Lampedusa nel Principe di Salina. Non ne sono mai stato pienamente convinto, l'ho sempre trovata una semplificazione di comodo; a volte, anche, svilente; non solo per Il gattopardo, ma per il romanzo come genere. Antonino Buttitta scrive su tale argomento pagine illuminanti. Ma tutto il libro è prezioso, rinviene nel mimo l'origine del teatro moderno; chiarisce la natura dell'interesse di Pavese nei confronti del primitivo e della Grecia; censisce gli elementi della cultura popolare siciliana nelle opere degli scrittori della Sicilia; e tanto, davvero tanto altro ancora. Ma mi fermo e ritorno a quello sguardo di qualche anno fa di Emanuele.

Quando si è compagni di vita, come mi scrive Emanuele nella dedica, non servono le parole, ora come allora, nonostante la distanza. E, more solito per me, è più in quello che non dico e che non scrivo il, chiamiamolo così, messaggio.

Manco dalla Sicilia dal 2004.

L'isola, quell'isola, mi chiama.
Mi sento sempre in debito nei confronti dell'amico.
Vorrei poter esserci, a quella presentazione. Quel libro è memoria, in questo cimitero dell'immediato; è vita, in questo carnevale di languidi oblii solipsistici; è un ponte verso l'eternità.

E diciamola tutta: possiamo ben fare a meno di Leopardi, ma non dei Colloqui di Gozzano.

Chi deve capire, capirà...
  




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