Dimmi come guardi un film e ti dirò chi sei

Dimmi come guardi un film e ti dirò chi sei.
Meglio ancora: ti dirò quel che siamo, quale immaginario abbiamo accolto e quali rapporti economici e sociali si celano dietro questa 'consapevole' scelta.



Il cinema nasce come spettacolo popolare. La sala era, ed è, luogo comunitario, sociale (politico, aggiungo). I film girati per il grande schermo utilizzano, infatti, un linguaggio peculiare.
Poi, un bel giorno, arriva la televisione: chi vede un film al cinema e poi se lo ritrova in TV, spesso non lo riconosce. Di conseguenza ecco i film girati ad hoc e serie televisive: logico, si investe nel nuovo mercato. Chi ha provato a seguire un film per la TV proiettato sul grande schermo pare sia rimasto annichilito da tale esperienza. I linguaggi sono troppo differenti.
Nel frattempo tutto si velocizza, arriva internet, i cellulari sostituiscono il cervello di alcuni esseri viventi e la produzione di opere audiovisive aumenta, s'ingigantisce, s'innervosisce per le continue immagini in movimento che vorrebbero suggerire, pardon, gridare la tensione. Tutto si fa veloce, come il meccanismo alienante del consumo. Tutto si fa sempre più piccolo: i film si guardano anche sul pc, sui tablet, persino sui cellulari o in minuscoli marchingegni che evocano la forma dell'orologio. Tutto diventa sempre più esperienza individuale.
Il cinema, da rito collettivo e popolare, nel suo linguaggio e nei suoi tempi, diviene, per tanti, (per troppi?) quello che si osserva in uno smartphone, magari con le cuffie, mentre si fa la fila alle poste, oppure si è in treno. E così via.
Seguire Quarto potere, C'era una volta il West o Blade Runner è possibile, in questi tristi e solitari momenti di mortifero autoerotismo screziato di tecnologia e alienazione?
No, mi dirai; ma, rispondi, io mica in questi momenti guardo grandi film, ma filmetti, per svagarmi, per ammazzare il tempo.
Bravo. Giusto. Perché, invece di guardare il mondo e gli altri, non seguire su uno schermo minuscolo qualche risibile produzione, magari divertente?
Sacrosanto.
Mi fai la morale, potresti dirmi. 
No, al contrario. Ti dico che sei perfettamente adeguato al contesto, anzi, ai meccanismi di produzione del nostro tempo: tendenzialmente veloci, tendenzialmente superficiali, tendenzialmente alienanti, tendenzialmente vacui.
Magari, di un film, segui solo la trama? Perfetto. Che senso avrebbe per te, allora,tanto per divagare, leggere Cervantes o Borges? Nessuno? Che senso avrebbe, per te, andare al cinema? Nessuno, a meno che non ci siano mega effetti speciali stordenti oppure Superman contro gli X-men che si coalizzano contro gli Avengers.
Effetti speciali, super eroi, schermi piccoli, solitudine, alienazione, velocità, indifferenza. 
Il mercato questo vuole?
Il mercato questo avrà.
Insomma, che senso ha questa sequela di ovvietà, questa coorte di banalità? Questo mi chiedi.
Rispondo: magari attraverso queste ovvietà riusciamo a vederci più chiaro. Magari capiamo qualcosa di più, che so, sul voto del quattro marzo.
Dici di no?
Dici che se disertassimo le prossime elezioni e riempissimo le sale per ritrovarci, per riscoprire il buon cinema, anche nei suoi capolavori del passato, nulla cambierebbe?
Forse hai ragione. Anzi, sicuramente.
Però lasciami pensare che chi segue Scuola di polizia 7 o Walking dead sul suo bel telefonino, incurante degli occhi persi di quel barbone che vagola nel tuo treno, alla ricerca di chissà quale morgana, non abbia grande fantasia. 
A te sia concesso questo paradiso tecnologico veloce, superficiale, piccolo da super eroi ed effetti speciali.
A me concedi l'illusione di qualcosa di più grande. Un sogno da proiettare su un mega schermo... da vivere e da sentire con decine di migliaia di esseri umani...

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