Recensione di "Io della vita non so nulla" di Francesco Pala


Giova richiamare le fascinose e penetranti riflessioni di Dominique Fernandez per introdurre Io della vita non so nulla, di Francesco Pala, Booksprint Edizioni, 2014.
Il Sud del mondo attraversa ancora la fase coloniale: storicamente sottomesso e sfruttato dalle potenze del Nord dà vita ad un immaginario ferocemente influenzato da tale condizione. La Letteratura da esso prodotta è, secondo Fernandez, superiore perché maggiore è la necessità di risolvere ed esorcizzare le angosce con le quali si confronta.
Sardegna, dunque, isola di nessuno, altrove mitico nel quale proiettare mostri e indagare il senso: Sud del mondo, certo, in piena fase coloniale (Alessandro Carrera nel 2001, analizzando le isole di Satta e Tomasi di Lampedusa, definiva questa letteratura post coloniale). Ma non solo. Altrove nell'Altrove, perché Giaime è scappato dalla casa di riposo "Cristo felice" e nessuno sa che cosa gli sia capitato. Il romanzo di Francesco Pala è la voce dei compagni del ragazzo, capitolo per capitolo ognuno narra la sua storia senza storia - e sconfitte e riscatto impossibile e irredimibile solitudine - e allo stesso tempo cerca di (non) dare risposte sulla sorte di Giaime. "Cristo felice" è un Altrove mitico in cui riemerge, trasfigurata, l'anima nascosta della società perbene. Raccontando emarginati e 'rifiuti' della società si rinvengono proprio le ombre che si vogliono nascondere, viene messo in primo piano proprio ciò che la collettività vuole dimenticare (rimuovere?).
Non un romanzo polifonico, la voce è sostanzialmente la stessa per tutti i personaggi, né un romanzo corale: ma una sfilata di dannati, mai ritratti con lirici abbandoni pietistici, senza nessuna facile concessione al populismo di maniera.
Inattuale nella forma narrativa (il realismo magico, frusto e ormai agonizzante) e nella materia: eppure proprio questa sua inattualità diviene attualità lacerante, investita da una carica di corrusca emotività, mai manierata, e ridisegnata da un ritmo narrativo che non accusa momenti di vuoto o passaggi 'bianchi'.
Giaime, personaggio in absentia, diviene mitico per il meccanismo della sospensione che la struttura del romanzo di Francesco Pala assume.
Pala riesce sempre a trovare soluzioni non banali, come già aveva fatto nel suo precedente romanzo, un noir, Rosso a cinque punte.
Io della vita non so nulla è, in fondo, un lucido, razionale e passionale, grido di dolore per l'amore perduto (non da intendersi nell'accezione erotica, ma nel senso più ampio, profondo), per il senso di abbandono provato, per una distanza fra chi chiede amore e chi non viene ricambiato, che assume nel medesimo tempo l'approccio risentito del bambino e la rielaborazione del lutto dell'adulto.
Un dialogo con i morti impietoso e catartico che ha proprio nella sua struggente e bellissima catarsi conclusiva la sua stessa dannazione.

Ovviamente: Da leggere!

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