Mi sono perso

Il caposala continua a dirigere il traffico dei camerieri. Sa quello che dice, sorride ai clienti, mostra un garbo deciso con i suoi sottoposti.
Sa che cosa vuole, lui, sa fin dove si può spingere.
Anche la musica che vien fuori da qualche parte è ordinata, adatta alla circostanza. E lo sono pure i bicchieri luccicanti, il prosecco al punto giusto, il clichè per gentile concessione.
E io sono ritornato quaggiù, stanotte, nel sonno disturbato dai tuoni. E non so che ci faccio.
Si alza un signore bolso e dai capelli bianchi, mi indica con disappunto e mi accusa di sdegnare quel riunirsi. Nella sua boria c'è forse una verità.
Non ricordo più chi ero.
Meglio: ciò che ero si è corrotto con tutta questa coreografia del nulla?
Ripenso ad altri sonni, a stasi maculate di ripugnanza.
Mi sono perso.
Un sogno recente mi torna alla testa, sembra vecchissimo perché vecchio è il nome di quella ragazza inciso sulla targa e antichissimo è il proscenio della vicenda. I legami col mio passato, il mio più bell'errore: et voilà, la sconfitta.
Intorno, lingue costruite su grammatiche fasulle, farsa di geometria illusa e svenduta al peggior offerente.
No, non è un bel mondo il mio, non è lontano da questo schifo che finge (o non s'accorge?) che nel tentativo di informare il Kaos ne celebra un altro ancor più angosciante: ed esclude gli animi più sensibili.
No, non è il mio mondo, ha ragione quel pallone gonfiato. Sono spesso gli imbecilli a farsi portatori di senso.
Ma il mio problema rimane.
Figlio di chi?
Inutile negarlo... mi sono perso...


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