La profonda superficialità di Andrea Scanzi



Ho letto ora un post di Andrea Scanzi, credo dettato dagli orrori che la cronaca riporta in relazione all'omicidio di Alatri. Sono rimasto perplesso da tanta superficialità spacciata per profondità. Lo riporto di seguito, poi lo commento.



Non so esattamente quando sia successo. Forse quando ho finalmente avuto il mio primo cane, forse quando ho imparato ad andare a cavallo e mi sentivo libero, fossero i boschi di Cortona o la Camargue. Forse quando sono diventato vegetariano, forse quando ho visto certi sguardi umanissimi di non umani. Non so quando, e probabilmente neanche lo avrei voluto. Ma è successo: provo sempre più empatia per il mondo animale e sempre meno per la specie umana. E' una razza che troppo spesso mi fa semplicemente schifo. Conosco persone straordinarie, ne incontro ogni giorno nel mio continuo viaggiare. Solo che questa bellezza umana è sempre più sotterrata e calpestata dalla viltà: dall'ignoranza, dalla violenza. Dalla più smodata, e crassa, deficienza. Ogni giorno leggo notizie tremende, per esempio quella di Alatri. Un branco di dementi impotenti che infierisce su un ragazzo per futili motivi, fino ad ammazzarlo. Un animale non uccide quasi mai per piacere: un uomo quasi sempre. Per questo, garbatamente, vorrei dire a Papa Francesco come alla amica Fiorella Mannoia (che gli ha dato ragione), che non necessariamente una vita umana vale più di quella di un animale. Michelangelo vale forse più di un gorilla, ma di sicuro hitler non valeva più di un criceto. Provo a coltivare ogni giorno quella pietà che ti fa salva la vita, e che ti permette di restare umano, quando vedo un senzatetto che chiede l'elemosina e nessuno se lo fila, perché tanto ormai morire per strada ci sembra normale. Stiamo diventando (s)piacevolmente insensibili (semi-cit). Ma coltivo pure la convinzione - la certezza - che tra un cane e chi ha ammazzato a sprangate il ragazzo di Alatri, non avrei dubbi su quale vita salvare. Non solo: li vorrei in galera per sempre quei maledetti, sofferenti e impossibilitati a una redenzione, perché certi crimini non possono essere perdonabili. Questa storia che l'uomo sia sempre superiore all'animale è una gran puttanata: di un gasparri non so che farmene, mentre anche "solo" lo sguardo di un cane mi sembra un motivo irrinunciabile per vivere. E vivere - addirittura - felice.



Non riporto il post di Scanzi perché lo ritengo uomo più autorevole di altri, né meno. Solo perchè tanta superficialità scatena il plauso di molti.
E rifletto: perché una simile sequela di banalità colpisce? 

Scanzi comincia raccontando l'escaturigine del suo nobile sentire con una prosa vagamente rondesca e stereotipata. Il percorso che lo ha portato all'agnizione (provo sempre più empatia per il mondo animale e sempre meno per la specie umana) si connota per il narcisismo e per il desiderio di potenza orientato alla contemplazione del sé da parte del giornalista, nel momento in cui diventa padrone del suo cane, oppure prova un senso, evidente, di forza e libertà nel cavalcare. Il racconto prosegue con un punto di svolta: diventa vegetariano. Continua quando ritrova lo sguardo umano in non umani (intende gli animali, anche se si esprime in maniera poco felice, perché qualcuno potrebbe pensare ad entità aliene). Ecco, insomma, un breve quadro di un uomo che prova schifo per la razza alla quale appartiene, anche se ad essa si ritiene superiore: è sensibile, Scanzi, infatti abiura la violenza, non mangia carne. 
Concede, a dire il vero, una tregua effimera all'erotizzazione del suo Ego quando afferma di conoscere persone straordinarie. C'è tanta bellezza nel mondo, ma è calpestata dalla viltà, dalla violenza e dall'ignoranza: riecco Scanzi guardare dall'alto, da Superuomo - che fra l'altro, anche qui, non padroneggia perfettamente l'argomentazione - quelle piccinerie e quello squallore che non gli appartengono. Non è violento, lui, è vegetariano; è sensibile, lui, anche se per sua ammissione fatica ad avere empatia per i suoi simili (che simili, però, non sono: il giornalista è colto, ha avuto un percorso etico, estetico e spirituale che lo eleva dalla massa); e non è vile, lui, poiché dal quel poco che so sul suo conto si ritiene libero e contro il sistema. Ecco l'Oltreuomo, non più umanesimo, ma animalismo. E allora Scanzi semplifica: gli animali non uccidono quasi mai per piacere come gli uomini. Davvero? Avete mai osservato quale sadismo animi il gatto che tortura e uccide il topo?
Scanzi, dunque, rimane in superficie, si ferma, preferisce orbitare, con la sua prosa, lontano dai neuroni, colpire la pancia di chi legge: sia utilizzando un registro stilistico basso e volgare (così lo capiscono tutti che è arrabbiato, così ognuno si rende conto di quanto sia contro) sia banalizzando. 
Come un giornalista da salotto finge di dimenticare che gli animali si accoppino con i loro figli e a volte li uccidano, mangino le loro feci e nella giungla o nella savana non siano tanto solidali, sensibili o democratici: conta la legge del più forte.
Il giornalista, dunque, coccola se stesso (coltiva la pietà però per i poveretti che mendicano), nella sua pagina pubblica cerca consensi e applausi. Lecito. Ma non ha spessore ciò che scrive. Gli uomini, a differenza degli animali, uccidono in nome della ragione, è vero; questo paradosso l'ho rappresentato e trasfigurato nel mio ultimo romanzo L'uomo che lottava con i cani, in maniera caustica, ironica, dissacrante (racconto l'Italietta dalla prospettiva di un cane). Eppure Scanzi non immette mai nel suo orizzonte provinciale (di seguito cercherò di argomentare il provincialismo di cui è imbibito) l'idea che è proprio la ragione l'unica cura possibile al male, alla violenza e alla follia. 
Un ragione che riconosca le zone d'ombra che la caratterizzano (non amo Vittorio Alfieri, ma nella Mirra è ciò che egli rinviene: il male nasce da dentro, spesso senza motivo) e che possa gestirla quell'ombra.
E mi perdonino gli animalisti, cui va la mia stima, ma cani, criceti, maiali o conigli non possono (almeno per ora, domani chissà) avere la forza attraverso il linguaggio, il confronto, lo studio per provare a diventare società solidale, onesta, pacifica. 
Gli italiani, o coloro che abitano lo Stivale, hanno nel loro DNA il Fascismo, spesso inconsapevolmente, un Fascismo 'buono' e tanto provinciale: Scanzi è emblema di ciò, ecco il perchè di tanto consenso. Quando scrive (con infelici intenti ironici?) che forse un gorilla non vale quanto Michelangelo lascia intendere quale immaginario da esteta provinciale ci sia dietro tali esternazioni. Michelangelo è superiore agli altri per via del suo genio, forse per questo vale (questo verbo ha connessioni etimologiche con l'ideologia fascista); ma un semplice uomo comune? Perchè prendere come esempio un genio assoluto e non un uomo comune? Chiaro, perché poi arriva il frusto e prevedibile riferimento a Hitler.
Che valenza ha, inoltre, il riferimento a Gasparri, politico nei confronti del quale non nutro nessuna stima? Rivela solo un orizzonte esistenziale entroflesso: a che serve ad un gigante come Scanzi un mediocre uomo politico? A nulla, ovvio, anche perché è evidente che il riferimento all'onorevole (quanto disprezzo lo induce a usare la minuscola quando scrive il suo cognome, come fa con Hitler!) ha, nelle intenzioni, quello di rimarcare la lontananza di certi uomini dal bene pubblico; ma nella sostanza e nel modo è autoreferenziale. Ad uno come lui a che gli serve Gasparri? Lo facciamo fuori? E a molti a che serve Scanzi? Facciamo fuori lui?
Ma il nodo centrale di tutto non è il post egocentrico, poco felice e provinciale: un post sciocco o banale può capitare, il guaio si ha quando scrivendo idiozie si vuole sondare temi che meritano una trattazione più ampia e meno puerile. Ma, ripeto, il problema è un altro: è il consenso di migliaia di persone. Tutti hanno ragionato leggendo? Quelli che si riconoscono negli animali, nello specifico, disprezzando l'uomo, hanno pensato alle bestie che mangiano le loro feci o che ingravidano le loro figlie?
Il Fascismo provinciale, buono, ma tanto pericoloso: questo è il nucleo del ragionamento. Come applaudire un demogago che urla parolacce nelle piazze; e strillare, e strillando in tanti il malessere diventa rabbia, diventa irrazionalità e l'ombra della follia corrompe la luce della ragione.
Mi viene in mente Flaiano: "Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità".
E ora Fellini e il suo, da me non particolarmente amato, Amarcord: il Fascismo come categoria dello spirito dell'irredimibile provincialismo italiano che si deresponsabilizza affidandosi a presunte figure forti di riferimento, uomini di cartapesta. Per continuare a coltivare meschinità o per sentirsi contro o liberi, ma solo nel sogno.
Italiani eterni fanciulli provinciali, bovaristi rivoluzionari, giornalisti eleganti da salotti televisivi, indignati e allo stesso tempo rassicurati da fatti di cronaca nera.
Il male è altrove, riconoscibile, lontano da noi, da me. Che ci possiamo fare? Disprezzare il male, non capirlo, meglio leggere Scanzi, amare gli animali più degli uomini.
Prima o poi qualcuno ci salverà.

E se vi va bene, va bene così...


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