Assassinio sul Nilo


"Assassinio sul Nilo" di Kenneth Branagh riesce a essere inferiore al precedente "Assassinio sull'Orient Express (di per sé non indimenticabile) e ne estremizza tutti i difetti: il terrore di annoiare lo spettatore con il ragionamento (che porta a movimenti di macchina spesso inutili) durante gli interrogatori; l'adesione ipocrita al politicamente corretto (in nome del mercato, ovviamente, per non scontentare nessuno e avere un bacino di 'utenza' maggiore) con l'aggiunta di una coppia di donne omosessuali e il pretestuoso coinvolgimento di altre etnie con strumentali velleità antirazzistiche: niente di tutto ciò era presente nel libro della Christie ma si sa, il potere del denaro sa spingere verso ammodernamenti di facciata; soprattutto un Poirot ingombrante, nel tentativo di dare spessore tragico alla sua maschera. L'investigatore belga è monodimensionale, bidimensionale quando va bene nei libri della buona Agatha: il suo è un personaggio funzione che suggella l'atmosfera, in fondo vagamente fiabesca e giocosa, dei romanzi della regina del Giallo. Nel rifacimento in sala questi giorni troviamo un Poirot tragico, ferito, querulo e lacrimevole, pronto a rimpiangere l'antico amore e, addirittura, che viene psicanalizzato da un altro personaggio (una specie di ossessivo compulsivo che non può lasciare spazio ai sentimenti per tutta una serie di motivazioni che l'inutile prologo inopinatamente ci propone). Il risultato si ammanta di gravitas shakespeariana stucchevole se non ridicola o, comunque, fuori luogo.

Il film prosegue verboso e prolisso, tra meravigliosi scorci del Nilo e l'ingombrante computer grafica che fa tanto parco a tema, in un'atmosfera da melodramma noir pacchiano che annacqua l'intreccio, anche a causa di una regia che non riesce quasi mai a gestire gli spazi e a dare il dovuto spazio agli altri personaggi, stinte figurine, a pensarci bene, lontanissime dal carisma che David Niven, Bette Davis o Mia Farrow sapevano portare sulla scena del film del 1978 di Guilliermin (che rivisto oggi, sebbene a tratti meccanico, risulta assai più riuscito e divertente della colta rilettura di Branagh).

 


 




L'intuizione di esplicitare l'erotismo sarebbe stata, quella sì, una buona idea per dare un taglio più moderno all'opera: ma se escludiamo il ballo iniziale, comunque sovraccarico e assai patinato, il resto è solo un parlare continuo di amore e di sentimenti che è sfiancante. A meno che non si voglia trovare erotica la seduzione di Gal Gadot fra i monumenti mentre canta la canzone del cavallo.

Un pesante film di intrattenimento, insomma, giocato su protagonisti avvenenti, che smarrisce le atmosfere del Giallo per inseguire una profondità che non rivela nulla, in nome di un ossequio ad una teatralità tanto insistita da risultare inerte.

Gal Gadot riesce sfoderare un paio di sguardi carichi di intensità, Annette Benning è fuori luogo e sopra le righe e Branagah è bravo a far piangere Poirot.

Pellicola conformista, insomma, che avrà successo anche perché abbraccia convintamente (e maliziosamente?) l'immaginario del suo tempo e che ha il 'merito' di far dimenticare la vera arte della Christie, quella dell'intreccio, del gioco di prestigio che ti impedisce di scoprire la verità sebbene sia davanti ai tuoi occhi.

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