Analisi strutturalista di "Cocotte" di Guido Gozzano
I
Ho rivisto il giardino, il giardinettocontiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia Mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…» «Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co–co–tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co–co–tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III
Un giorno — giorni dopo — mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«È vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
IV
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi, ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni. Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la casa, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò: rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.
Analisi strutturalista
L'ossatura strutturale di "Cocotte" si fonda sulla netta opposizione di due piani temporali principali: l'Infanzia e l'Età Adulta. La funzione del primo, sviluppato nelle strofe I, II e III, è quella di stabilire il mito fondativo e l'origine del desiderio attraverso l'innocenza del bambino, un periodo che si confronta con l'ordine rassicurante e borghese della madre. Il secondo piano, centrato nella strofa IV, agisce come risoluzione disillusa, in cui il narratore adulto tenta, attraverso il sogno e la letteratura, di annullare l'azione distruttiva del tempo. Questa opposizione diacronica è replicata e rafforzata dalla struttura spaziale, dove la cancellata rozza funge da demarcazione semantica e fisica tra lo spazio interno/borghese (la casa, la famiglia, l'ordine morale) e lo spazio esterno/proibito (il giardino della cocotte, il limite della trasgressione). Il bacio attraverso le sbarre è l'atto che media, pur senza violare, questo confine e rappresenta il primo incontro del soggetto con l'alterità e l'eros, in netto contrasto con la funzione di censura esercitata dalla madre. I personaggi sono definiti dai loro ruoli binari: la madre incarna la legge, la cocotte rappresenta il mistero, il desiderio e il peccato, ma porta con sé il vano sogno di maternità, evidenziando una duplicità interna, e infine il poeta funge da mediatore intellettuale, l'unico in grado di riunire i termini opposti (infanzia e vecchiaia) attraverso la memoria.
Cruciale è l'analisi dei significanti concreti, come il confetto, che sancisce l'iniziale patto innocente, e soprattutto la parola "Cocotte", che nel sistema di ricezione infantile viene deprivata del suo significato morale ("cattiva signorina") imposto dall'alto, per essere riempita di associazioni fiabesche e buffe, mostrando il tipico scarto ironico e intellettuale della poetica gozzaniana. La risoluzione strutturale si compie nella strofa finale quando, rifiutando la distruzione della donna da parte degli anni, il poeta impiega la potenza mitopoietica della poesia: l'uomo adulto non ama la realtà, ma le "cose che potevano essere e non sono state", proponendo un bacio finale che non è un atto erotico ma una ricongiunzione temporale, un atto di ricreazione che mira a riportare in vita non solo la donna giovane, ma anche il "se stesso d'allora", sigillando il significato profondo del Crepuscolarismo: l'amore per ciò che è irrimediabilmente perduto e la sua salvezza attraverso l'arte.
La scelta di dedicare un componimento a una cocotte è di per sé un atto di sfida alle convenzioni letterarie e sociali del tempo, che prediligevano figure femminili angelicate o, all'opposto, muse sublimi. Gozzano sceglie una figura di scarto sociale che è, letteralmente, messa al di là delle sbarre dalla madre, emblema della morale piccolo-borghese. L'opposizione tra la "bocca di mia Madre" e la bocca della cocotte è il perno di questa critica. Il poeta sovverte il giudizio sulla prostituta non attraverso la ribellione aperta (che sarebbe retorica), ma attraverso la malinconia ironica e la pietas. La cocotte, sebbene sia il polo della trasgressione, è umanizzata dal suo "vano sogno di maternità" e dalle "pupille di tristezza piene", che la allontanano dallo stereotipo della femme fatale dannunziana e la avvicinano alla malinconica condizione umana. Gozzano sfrutta l'episodio per denunciare non tanto il vizio, quanto la superficialità e l'ipocrisia della società che condanna ciò che non può assimilare. In questo senso, la poesia è radicalmente antiborghese perché, pur adottando un linguaggio dimesso e colloquiale tipico dell'ambiente (il "giardinetto", il "confetto"), usa questo per dare voce a un personaggio scomodo e dimostrare che l'unica verità emotiva e la vera "grazia" risiedono non nell'ordine morale, ma in ciò che la morale stessa ha emarginato e proibito.

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