Il senso della vita? Esibirsi

Tutti strangolati dal contesto che ci dovrebbe accogliere quando veniamo al mondo, ma che invece ci impone regole, convenzioni e tutta una sarabanda di non so che (magari anche giuste) necessariamente condizionanti il rapporto tra l'Io e il piacere.
Non è che la scoperta dell'acqua calda: alla base della civiltà vi è la repressione dell'Io, altrimenti ancora maggiori sarebbero gli atti di violenza reciproca degli umani. E fin qui va bene.
Ma dietro tale tensione positiva del vivere civile (o giù di lì) esistono i terribili effetti collaterali: siamo costretti ad accogliere tutta quella serie di convenzioni evocate poco sopra che nulla di buono hanno, se non quello di standardizzare il pensiero dell'individuo per cercare di adeguarlo il più possibile ai valori che le condizioni storico, geografiche, economiche 'inventano', benedicono e impongono.
Anche qui, tutto scontato.
Allora vi sono due strade da seguire: l'esibizione da adesione oppure l'esibizione di rottura.
Nel primo caso il conformismo regna. In società mi comporto come la situazione richiede - recito, quindi - per non essere (o sentirmi) escluso. Per sentirmi riconosciuto. Di conseguenza non dico quasi mai quello che penso, oppure sono condizionato e il mio comportamento ne risente.
Il secondo caso, l'esibizione di rottura, è dato dalla consapevolezza del recitante che il contesto non sia poi così diverso da un circo. Ne vengono accolti solo in parte i dettami e attraverso la finzione - come se si fosse a teatro - si recita la parte con ironia, distacco. Attraverso la maniera, dunque, si pongono in evidenza i paradossi, l'artificiosità e, in fine dei conti, l'assenza di libertà insiti in ogni contesto. Di conseguenza solo nella consapevolezza della finzione riesco a essere sincero e a mantenere un rapporto autentico (il più possibile) con me stesso e con chi mi circonda. Quindi le favole, la letteratura, il cinema sono vettori fondamentali di una certa libertà.
Si obietterà che esiste un terzo approccio, almeno: quello di isolarsi in Tibet, diventare anacoreta, stilita, rifiutare il vivere civile. In realtà, si tratta solo di un mascherare e camuffare l'esibizione da adesione poiché attraverso il totale rigetto del contesto io non faccio che riaffermalo e lo potenzio. Ammetto, insomma, di essere succube di esso e totalmente dipendente da esso. La mia battaglia sarebbe non contro il contesto castrante, ma contro la dipendenza da questo. Sarei, quindi, ancor più ipocrita e non consapevole. Sarebbe  solo  sterile esibizionismo. 
Il senso della vita è, insomma, l'esibizione.
Se da adesione o da rottura spetta al recitante stabilirlo.
Ma per avere la possibilità di scegliere deve averne consapevolezza.


Commenti

  1. Se c'è una cosa che Losprezzi ci ha insegnato è che se proprio bisogna recitare lo si deve fare anche un po' per sé stessi. Un saluto dal nord ovest.

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