Omaggio a Gino Crudi

I novant'anni di Gino Crudi, scrittore piacentino umorale e versatile, sceneggiatore prediletto di Amerigo Scamazzato, sono un evento che il mondo delle Lettere e i salotti della cultura italiana festeggiano con numerosi eventi.

In questa sede ci limiteremo ad una cursoria, quanto doverosa, sintesi del percorso artistico dell'autore.

L'esordio è datato 1960 con Apostrofo di un delitto, thriller rurale che racconta le vicende di Belcomio Nolgesio, giornalista eroinomane in cerca di redenzione che, in una pianura Padana immersa ancora in una sorta di stupefatta temperie primigenia, turba il sonno di alcune attempate contadine inviando ritagli di articoli di giornale nei quali si raccontano le torbide vicende dei Borgia. In un crescendo di paranoia, e attraverso un sapiente utilizzo dell'ellissi, le contadine iniziano ad andare fuori di testa e toccherà al timido e sciancato curato Don Anselmo risolvere la situazione, costringendo il giornalista Nolgesio a pentirsi e a darsi fuoco durante una festa di campagna, di fronte agli sguardi ormai corrotti dalla follia delle anziane signore.

Il successo editoriale arride immediatamente a Gino Crudi, nonostante le resistenze di una certa parte della critica, specie quella di stampo marxista e psicanalitica, e per lui si schiudono le porte del cinema.

Dopo aver sceneggiato Maciste nella valle dei nani e Il Brodo - che gli costano polemiche e lo fanno oggetto di violenti attacchi personali - Crudi si isola per un po' e si dedica a leggere le mani ai passanti di via Condotti a Roma. Sarà questa un'attività che lo accompagnerà sempre.

Nel 1968, in piena contestazione, scrive la tragedia Pierantonio, storia dalle tinte alfieriane in cui un insegnate di religione, durante l'epoca del Fascismo, si oppone al regime catechizzando i gatti randagi. Somatizzerà il suo disagio credendo di aver contratto il cimurro e vagherà per la città, accompagnato dai suoi amici felini, irriso da chiunque, ma sempre pronto a sfidare qualsia forma di oppressione. L'opera, sebbene risenta di alcuni schematismi, si eleva in picchi di poesia altissima, specie nei monologhi nei quali Gino Crudi trasfonde in Pierantonio il suo sdegno per essere stato vittima di feroci attacchi.

Cinque anni dopo il trionfale successo del Pierantonio scrive un'altra tragedia, Rossano, su un anziano latin lover che passa le sue giornate a trasmettere negatività agli altri. L'opera è assai meno significativa della precedente, non riscuote successo e Vittorio Spinazzola la liquida come il maldestro tentativo di ridare linfa vitale al dramma borghese dell'Ottocento con stilemi ormai anacronistici.

Sono anni difficili, per lo scrittore, che sceneggia ancora alcuni film senza trovare mano felice. Si dedica, poi, alla stesura di un tomo di circa settecento pagine dal titolo Sull'utilizzo del cloroformio nel quale dà prova di estro e di modeste doti scientifiche. Il saggio, comunque, si rivela un ottimo viatico per iniziare a frequentare ospedali e medici. 




Tali esperienze gli saranno utili quando nel 1980 scriverà Commissione del dolore un kafkiano thriller ospedaliero nel quale Antonio Guappini, un infermiere complottista stremato da una torbida relazione con Giuditta, donna delle pulizie di sottile avvenenza virile, scopre che un gruppo di medici vuole uccidere Renato Scarzio, un paziente un tempo nome di punta del Socialismo, per vendicare antichi torti subiti e bustarelle non recapitate. Crudi descrive Scarzio con toni che oscillano tra il patetico e il surreale, mentre la 'commissione del dolore' che lo condanna a morte è colta in tutto il suo squallore.

Il successo del romanzo inebria Gino Crudi: nel giro di pochi anni scrive una guida turistica enogastronomica; una raccolta di racconti ambientata nelle periferie del mondo dal titolo Pavor montium; due sceneggiature per l'amico Scamazzato; un libello antifrancese - Io non sono Cartesio - fuori luogo e del quale nessuno ha colto il senso.

Dopo una lunga pausa dà alle stampe, nel 1997, una silloge poetica sbeffeggiata dalla critica più avveduta dal titolo Muti gli occhi e silenziose le parole, endecasillabi sciolti suggestionati dalle prove di Rebora e Sbarbaro in cui l'incapacità poetica di Crudi irrompe con poesia nei suoi versi.

L'epatite del vicino di casa lo costringe a rallentare i ritmi del suo lavoro. Dopo aver dichiarato di volersi ritirare, nel 2015 pubblica il romanzo Quella dolce ipocondria in cui l'avvocato Maurizio Porziani seduce le sue clienti convincendole di avere patologie bizzarre quali la Sorsenite ovvero l'eccessivo utilizzo della lettera S che deforma le labbra e arreca danni cerebrali notevoli.

Sono passati sette anni da Quella dolce ipocondria: Crudi passa le sue giornate in campagna, in compagnia degli amici di sempre, in attesa di farci sognare ancora con il suo genio.

Mentre ti aspettiamo, Maestro, non possiamo che festeggiarti come meriti.

Tanti auguri, Gino Crudi, per tuoi novant'anni ci siamo proprio tutti ad applaudirti.

 

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