Caratteri generali dell'"Adelchi" di Manzoni

 L'Adelchi di Manzoni racconta la tragica vicenda del principe longobardo Adelchi, diviso tra il senso del dovere verso la sua stirpe e la coscienza di un mondo in rapido mutamento con l’avanzata dei Franchi. Ermengarda, sua sorella, è vittima di un amore idealizzato e represso, che non può manifestarsi liberamente a causa delle tensioni politiche e sociali che la costringono a rinunciare alla sua felicità personale. In lei si manifesta il tema dell’eros represso: il desiderio d’amore viene bloccato dalle circostanze storiche e dal peso dell’onore familiare, fino a sfociare nella morte per il dolore provato. Questo eros negato diventa simbolo della sofferenza più profonda, del conflitto tra pulsioni intime e imposizioni esterne, che travolge la sua esistenza. Adelchi, invece, incarna il conflitto tra ideale e reale. Da una parte, è un giovane principe carico di ideali di libertà e fedeltà al proprio popolo; dall’altra, si trova schiacciato dalle forze storiche e dalla volontà di potere, rappresentate dall’invasione franca e dalla supremazia inarrestabile di Carlo Magno. Il suo ideale di una nobiltà morale e politica si scontra con la realtà brutale di una storia che sembra trascendere la volontà individuale. Questo scontro tra ciò che vorrebbe essere e ciò che è lo porta a una sofferenza profonda, fatta di rassegnazione ma anche di ribellione impotente, che rende Adelchi un eroe romantico nel senso più puro: un uomo che lotta per un mondo migliore ma che deve accettare la sconfitta come destino. L’eros represso in Ermengarda e il conflitto tra ideale e reale in Adelchi sono dunque due facce della stessa tragedia: la dolorosa impossibilità di conciliare il cuore e l’anima con le dure leggi della storia e del potere, e il prezzo altissimo che si paga quando l’individuo tenta di vivere secondo un codice morale elevato in un mondo dominato dalla forza e dalla sopraffazione.

«Non resta che far torto o patirlo; e questo è il nostro destino» (atto II, scena 3 de L’Adelchi).
Questa frase sintetizza in modo drammatico il dilemma fondamentale che travolge i personaggi dell’opera: di fronte all’inevitabile conflitto, non c’è spazio per vie di mezzo o soluzioni pacifiche, ma solo la scelta crudele tra essere oppressori o oppressi, tra infliggere un torto o subirlo. Adelchi, esprimendo questa realtà amara, rivela la tragedia di un uomo intrappolato in un sistema storico e politico che non lascia libertà se non quella di compiere scelte dolorose, spesso ingiuste, pur di sopravvivere o difendere ciò che resta del proprio mondo.
Nel contesto della poetica manzoniana, questo passaggio riflette la visione della Storia come campo di battaglia tra forze spesso contrapposte. Manzoni concepisce la Storia non come un percorso lineare verso il bene o la giustizia, ma quale processo complesso e tragico in cui gli individui, per quanto mossi da ideali nobili, sono costretti ad affrontare realtà dure e spesso ingiuste. L’idea che «non resta che far torto o patirlo» si collega quindi al concetto manzoniano della provvidenza e della Storia come realtà che non è mai completamente controllabile dall’uomo, ma che lo pone davanti a scelte difficili.
Adelchi è un eroe che vorrebbe agire secondo principi di giustizia e onore, ma si scontra con un mondo in cui il potere e la sopraffazione sembrano inevitabili. Questa constatazione crudele lo rende tragico e profondamente umano, in linea con la sensibilità romantica di Manzoni, che mostra come il destino storico possa schiacciare gli ideali individuali, lasciando agli uomini solo la possibilità di scegliere tra male e sofferenza. Tale conflitto interiore è alla base della tragedia di Adelchi, che è una figura che incarna la complessità morale e la fragilità dell’uomo di fronte alla Storia.

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