Espiazioni e purificazioni di Filippo Pace nel Monastero di Clotiferro

Dodicesimo giorno nel monastero di Clotiferro.
Cellulari, computer, televisori: aboliti.
Esercizi spirituali: costanti.
Niente donne, nessuna chitarra, zero libri.
Mi pento, espio, purifico i miei pensieri.
Non mangio funghi velenosi; in refettorio, a capo chino, penso solo alla minestra; mentre ammaestro gli uccelli e allatto i cinghiali coltivo l'oblio.
Questa sera, nella mia celletta, è tornato a trovarmi frate Goffredo.
Sono le 21: vorrei andare a dormire, è già tardi.
- Mancano ancora pochi giorni e sarai reinserito nuovamente in società - comincia il mio amico, sessantaquattro primavere sulla barba grigiastra.
- Già.
- Hai bruciato il tuo abito da Arlecchino?
- L'ho sepolto in una buca profondissima.
Frate Goffredo è perplesso; s'accende uno spinello, lo fuma con disincanto e poi replica: - Sarebbe stato meglio bruciarlo.
- Hai ragione, lo farò non appena uscirò da qui.
- No, ormai lascia stare così. Ti sei pentito?
- Sì, ma non sarà mai abbastanza.
- Bene - annuisce frate Goffredo - E dimmi, scriverai un altro romanzo?
- No - assicuro - a meno che non sia Il mio amore ti cambierà: e sarebbe languido, svenevole; sentimentalismo all'ennesima potenza e rassicurante conformismo.
- Bene.
Il fumo dello spinello si disperde per rovesciarsi annoiato nella penombra della mia celletta, claustrofobico dieci agosto, stupefacente negli umori.
- Sai, Pace - continua il mio visitatore - quello che non capivamo era perché avessi la fissa di trattare temi sociali nei tuoi romanzetti. Non capivamo questa insania.
- Lo so, ma ora smetto, lo prometto.
- Eppoi: che senso ha dissacrare? 
- Nessuno. Ma io non lo facevo per male, ma solo perché gli adulti mi sembravano retorici, violenti, seriosi, necrotici. Ed io sono un bambino dispettoso. Volevo dire: ero.
Ultimi ilari spasmi per lo spinello. Ora è il turno della bottiglia di cognac. Frate Goffredo riprende a parlare, con saggezza: - Fratello, errare è umano.
- E soprattutto adulto.
- Ricominci?
- Nel senso che anche io sono adulto e ho sbagliato.
- Come sei vero, ora, nel tuo parlare. Come sei pulito.
- Grazie, frate Goffredo, ma ora vorrei restare solo per piangere un po'.
L'uomo si alza, barcolla con dignità e mi chiede che cosa invoglierà il mio lacrimare.
Rispondo con imbarazzo soave: - Creberesterò e andescairò il giultraspio.
- Oh, bene. E poi?
- Colerterò il burtisano.
- Oh - piange frate Goffredo - Sei vicinissimo al traguardo.
Esce sazio delle mie parole, felice richiude la porta dietro di sé.
Questa notte a Clotiferro c'è il sole, il Grillo canta stonato come al solito e la vacca Leopolda muggisce suadente come non mai.
Gatto Onofrio passeggia con stolido sarcasmo.
E piango.
Commosso.
Pentito.
Libero.


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