Quello che si perde

C'è una casa, da qualche parte, che mi aspetta. So che è grande, ha due piani, tante finestre, tende bianche che al vento primaverile ondeggiano e fanno capolino nelle verande, quasi per salutarmi.
D'estate, quella casa, è sola. 
Se torni all'imbrunire, dopo la corsa, dopo i giochi, senti che è malinconia. Ma anche libertà, quella perduta, agognata, mai conosciuta o rifiutata.
Senti un grido, qualcosa di contaminato da qualcos'altro. 
Un'idea s'accende, per spegnersi subito.
Il perduto.
Tutto ruota intorno al perduto; meglio: a ciò che ne evoca l'idea.
Sciascia scrive nel Cavaliere e la morte che la nostalgia è spesso un inganno della mente. Non credo sbagli.
Forse, però, dietro questa c'è un desiderio di innocenza (guarda caso perduta) che innesca l'idealizzazione del passato:
Fiorenza dentro da la cerchia antica
ond'ella toglie ancora e terza e nona
si stava in pace, sobria e pudica...
Ho sempre trovato struggente la descrizione che Cacciaguida fa a Dante nel canto XV del Paradiso della Firenze perduta. La trovo struggente perché ingenua, idealizzante, non vera. E per me ciò che è ingenuo è altamente suggestivo, non perché debba dare il via a pascoliani vagheggiamenti regressivi (no grazie, niente fanciullino), al contrario.
Cacciaguida racconta di una Firenze che non c'è più a Dante che l'ha perduta per sempre. Ben venga l'idealizzazione, allora, se non diventa regressione, se spinge Dante a ricercarla nel Paradiso tutto.
Che cos'è infatti la terza cantica della Commedia se non un'immensa, bellissima Firenze in cui regnano armonia e amore e ogni conflitto è pacificato?
E allora il perduto - e la nostalgia di questo - diventa motore che spinge verso il futuro.
Non utopia del ritorno, ma ritorno dell'utopia.
E poco m'interessa, ormai, se la prospettiva dantesca possa apparire conservatrice o rivoluzionaria. 
Ah, il passato! Un gioco di prestigio. Un inganno.
Nel rivedere fotografie ritraenti le vecchie cabine telefoniche mi viene nostalgia. Il tempo era maggiormente dilatato: nessun telefono cellulare (non lo demonizzo, ritengo sia utilissimo), niente internet, niente "tutto" a portata di mano.
Non si stava meglio quando si stava peggio. Però c'era ancora quella percezione dello spazio e del tempo che la tecnologia avrebbe spazzato a breve.
Qualcosa allora si è perso. Anche di me.
Poco male, tutto è una trasformazione, normale che si perda, normale che si acquisti.
Non vorrei mai tornare indietro (bugia, a volte sì), ma recuperare un po' di quell'innocenza perduta, in realtà mai esistita.
Inganno: guardare il mondo, ancora diciottenne, dietro il vetro di una cabina telefonica, mentre parlo ad una cornetta... e il cadere dei gettoni... e se piove ripararsi e fingere chissà quale colloquio importante...

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