Cerco Eve (per un grande e folle progetto)

Dietro le sbarre sembrava una colomba ferita.
Eve suonava l’armonica seduta sulla branda: gambe incrociate, schiena al muro. Le solite quattro note; sempre quelle. Un tempo promessa di giovinezza immutabile, ora solo elegia. Nostalgia, Eve? Di che cosa? Della libertà del Branco? Delle scorribande notturne, lassù, nel Pueblo nascosto? Degli assalti a banche e a diligenze? Oppure di Joe, del suo folle sogno? Il suo carisma, la sua ingenuità: non ci prenderanno mai, diceva sempre. Sì, non ci fermerà nessuno. E invece il Branco macellato in pochi minuti! Quell’attacco al treno si era trasformato in un uragano di piombo: e da tutte le parti gli amici di sempre erano caduti nella polvere e l’avevano arrossata di sangue. Oppure pensi ad Erik? Ti manca la sua lucida determinazione? Il suo coraggio di portare nel vostro sogno la realtà? Innamorarsi di un Pinkerton! Bella fregatura. Lasciare l’amore per il nemico: brutta storia.
Lo sceriffo puliva i fucili, riordinava la sua scrivania.
E il vecchio Jim, sbronzo, nella cella a fianco, si beava della melodia e dimenticava persino di essere in prigione.
- Dì un po’ - disse ad un tratto lo sceriffo - che cosa rappresenta per te questa musica? – le fissava i graffi, i lividi e gli abiti sgualciti pensoso. La disapprovava, ma era incantato dal senso di perduto che le colorava gli occhi.

Eve smise di suonare, sorrise appena e mormorò: - L’addio all’innocenza…


Cerco Eve, venticinque anni, mora, longilinea, media statura, sguardo notturno e sorriso accondiscendente, appena intriso della consapevole malinconia di chi sa che prima o poi ti dovrà abbandonare.

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