Strane strade stravagantissime
Strane strade stravagantissime ci portano lontano dai sentieri consigliati. Lei lo sa, il nostro estro s'impiglia in qualche periferia poco illuminata dal soffocante buon senso della medietà. Eppure, ci muoviamo come bambini o come ubriachi spinti dalla nostalgia di non si sa bene che cosa. Ma non abbiamo nulla da insegnare a nessuno, meglio non dimenticarlo mai.
Lei danza, occhi semichiusi, e non pensa che, in fondo, io non so dove andare.
In lontananza, due donne attempate passeggiano con i cani vestiti. Mi avvicino a loro e chiedo i nomi delle bestioline. Una è Persefone, l'altro Macchia.
- Ma... con questo caldo, con questa afa - suggerisco loro - non sarebbe il caso di togliere i vestiti ai cani, hanno già il loro pelo a soffocarli.
La mia amica, intanto, al suo danzare unisce un canto che sa di lamento di qualche cosa di perduto e dolce. E forse una lacrima, dalle ciglia, fugge verso il basso.
- Ma lei chi è? - chiede intanto una delle due signore, quella con un profilo da faina e due occhi topeschi che, chissà perché, danno un certo spavento.
Strane strade stravagantissime. Domande difficili mi strangolano.
- Sono un caro amico della ragazza che balla laggiù - rispondo, mordendo le labbra.
Le due donne ridono con larghe bocche. Le loro lingue sono pallide, c'è qualcosa che sa di morte nelle rughe imbrogliate di quei volti.
Ho paura, torno dalla mia amica. Mentre danza e forse piange le racconto dei cani vestiti, poi m'invento altre stupidaggini per continuare a parlare e, di nuovo e con ferocia, la nostalgia mi aggredisce. Di che cosa? Dove andiamo?
Lo sa il mare, lo sa, dice lei; mi prende la mano. Ora siamo sul molo. Il sole a languire nel cielo, nuvole s'arrossano.
- Dove siamo? - le chiedo.
- Strane strade stravagantissime - sussurra lei. Eppoi il sorriso e un bacio da ubriachi e il canto della sera che mi annuncia qualcosa di bello che non so rivelare.
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