Generazioni di lettori si sono scontrate con I promessi sposi: riassunti, apparati critici, commenti possono diventare, paradossalmente, respingenti. Il capolavoro di Manzoni, invece, a volte dovrebbe essere 'reinventato', magari appoggiandosi a letture intriganti e suggestive come quella che ha fornito del libro Leonardo Sciascia. Per lo scrittore siciliano, infatti, i protagonisti non sono Renzo e Lucia, ma Don Abbondio: è singolare che questa sua idea si sia sedimentata così, senza nessuna guida, poiché aveva letto l'opera di Manzoni prima che fosse la scuola a imporglielo. Vediamo, dunque, quali sono le caratteristiche del 'sistema Don Abbondio' rinvenute dall'autore del Giorno della civetta.
Il pavido curato non è un semplice personaggio, ma il cardine di un sistema: l'incarnazione di un equilibrio statico, vischioso, in cui la paura è metodo e la neutralità complice. Un ingranaggio perfetto nel meccanismo dell'omertà diffusa: in tale contesto il non-intervento è la strategia di sopravvivenza, la rinuncia ai principi il prezzo della quiete. La sua codardia non è solo debolezza individuale, ma adesione consapevole a un ordine precostituito, in cui il potente detta legge e il debole si adegua per non soccombere. Un sistema che si autoalimenta con la paura, dunque, e in cui la giustizia è un'illusione per i più o un privilegio per pochi.
Don Abbondio, insomma, non agisce per malvagità intrinseca, ma per un istinto di conservazione che deforma la sua missione sacerdotale, riducendola a un quieto vivere fatto di silenzi e omissioni. La sua parrocchia non è una comunità di fedeli, ma un microcosmo di dinamiche sociali in cui la legge del più forte si traveste da ordine naturale. La responsabilità individuale si dissolve allora nella ragnatela delle convenienze e il non fare diventa una forma di azione, una tacita accettazione dello status quo. Don Abbondio è la sentinella immobile di questo sistema, il garante della sua perpetuazione attraverso la sua inazione. Sciascia smaschera la perversa logica in cui la paura diviene un collante sociale e la neutralità la più subdola forma di complicità. Lo scrittore siciliano va oltre e afferma che il sistema donabbondiano si replica, muta forma ma conserva la sostanza, nelle pieghe oscure del potere e dell'ingiustizia; è, insomma, una categoria interpretativa della realtà, un modello per analizzare dinamiche di sopruso che trascendono il contesto seicentesco lombardo. La paura interiorizzata si fa prassi, metodo, quasi "ragion di stato" individuale.
Don Abbondio non è solo un vigliacco; è un uomo che ha perfettamente compreso le regole del gioco, le gerarchie silenziose che governano il suo mondo. Sa chi sono i potenti da temere e i deboli da ignorare. La sua neutralità non è casuale, ma una scelta pragmatica: schierarsi significa esporsi, rischiare, turbare un equilibrio precario che, per quanto ingiusto, gli garantisce una forma di sopravvivenza.
Tutto ciò si nutre dell'assenza di una giustizia equa e affidabile. Se la legge è debole o corrotta, se il ricorso alle istituzioni è vano o pericoloso, la paura diventa l'unica vera legge. E Don Abbondio, con la sua prudenza esasperata, con la sua tendenza a evitare ogni conflitto, incarna perfettamente questa sfiducia radicale nella possibilità di un ordine giusto.
Sciascia è geniale: vede in questa dinamica una delle radici profonde di fenomeni come la mafia. Non tanto un'organizzazione criminale esterna alla società, quanto un'espressione estrema di una logica di potere che si basa sull'intimidazione, sull'omertà e sulla protezione "privata" in assenza di una tutela pubblica efficace. Il "rispetto" mafioso non è altro che una forma distorta della paura che Don Abbondio prova per Don Rodrigo. Chi assiste all'impunità del potente e all'isolamento di chi si ribella impara presto la lezione: è più sicuro non vedere, non sentire, non parlare. La paura individuale si trasforma in omertà collettiva, un muro di silenzio che protegge i colpevoli e soffoca le vittime.
Ma Sciascia non dipinge un quadro totalmente pessimista. Nei Promessi Sposi, come nella realtà, esistono figure che incarnano una diversa possibilità: Padre Cristoforo, che si oppone con coraggio al prepotente; Lucia, che con la sua fede e la sua integrità rappresenta un polo di resistenza morale; Renzo, che pur con i suoi errori e le sue ingenuità, non si rassegna completamente all'ingiustizia.
Il "sistema Don Abbondio" è quindi una sfida, un monito. È la rappresentazione di una società in cui la paura ha paralizzato la coscienza, in cui la convenienza ha prevalso sulla giustizia. Ma è anche, implicitamente, un invito a superare questa paralisi, a rompere il silenzio, a costruire un ordine sociale fondato sul diritto e sul rispetto della dignità umana. La sua attualità, per Sciascia, risiede nella persistenza di queste dinamiche, nelle infinite declinazioni del potere che opprime e della paura che paralizza. Riconoscere questo anche nelle pieghe del presente è il primo passo per contrastare tale perversa articolazione sistemica.
La lettura di Sciascia, dunque, si rivela audace, di straordinaria attualità ed è capace di liberare lo studio del capolavoro manzoniano dalle solite trite e ritrite categorie interpretative.
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Leonardo Sciascia |
Bellissima lettura, aggiungo una cosa che mi diverte parecchio, sembra che venga completamente trascurata la sua dimensione sacerdotale. Forse perché la sua missione è considerata irrilevante da Sciascia. Quanto al resto Don Abbondio fa quello che fa ognuno di noi, ogni mafioso, ogni professionista, ogni persona per bene, si adatta nel modo più efficiente possibile a ciò che viene imposto socialmente e dalle condizioni di contesto (familiari, economiche, ..), chi decide di combattere, chi decide di soccombere, chi decide di sacrificarsi, o chi decide che non vale la pena mettere a rischio sè stesso e i propri cari nel nome di un mondo nuovo destinato a non arrivare. Non colpevole, ma inserito nel sistema sul quale sciascia in realtà punta il faro. E proprio per questo così inquietante.
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