Lo sguardo di Paola Turci


E' una sera un po' così. Di quelle che ti lasciano la voglia della scissione perpetua: di prendersi sul serio senza mai prendersi sul serio. Cioè, nessuna intenzione di spiegare, spiegarsi. Tanto non è che ci sia molto da fare. Mi basta pensare che per un attimo la distorsione di essere rifiutato da qualsiasi congrega sia poco un merito, poco una colpa, ma una mera questione chimica. Sono lunatico, mi dicono, eppure quasi non me ne accorgo. Sento persino, in questo stanco 28 settembre, uno strano trasporto per le buone cose di pessimo gusto, per la tradizione, per la voglia di sentirsi parte della comunità. Paradossale? No, perché? Poco ribelle? E chi se ne importa? Il copione non lo devo mica recitare davvero, ma solo fingere di averlo, giusto no?
E perché un lampione e le farfalle attorno alla luce attirano tanto la mia attenzione?


E dopo tanti anni, davvero tanti, di nuovo Paola. 



Paola Turci.


Io e il giubbotto di jeans di 15 anni, scanzonato o arrabbiato, nostalgico o nevrotico. Fate voi.
Con Paola è facile. Con lei è questione di sguardi, sì, io che magari esagero ma sai che è un attimo ritornare bambini, anche se sai che qualcosa è cambiato.
Non è un gran pensiero, non è che ci sia molta profondità, in effetti.
Ne spiattello un altro: se ognuno sapesse fare bene quello che fa (come Paola, Paola Turci) staremmo tutti meglio.
Mi viene da chiedere: ma io che cosa so fare meglio?

Paola mi ha ricordato la risposta...


Commenti

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Per una lettura gotica dei "Promessi sposi"

Ariosto: Alcina, l'illusione e il reale da drogare

Il gattopardo: la trama e la metafora decadente dell'esistenza.