Su "Sottomisione" di Houellebecq

Houellebecq dà alle stampe Sottomissione. Con una prosa un po' bollita (per carità, da grande scrittore cinico, scettico, decadente, supponente) che rifugge qualsiasi ambizione estetizzante (ma poi: perché il tentativo di dare anche nobiltà estetica alla prosa debba per forza essere un cascame dannunziano, un rigurgito del sacro vate che volle provar quel che a donna piacque? Non abbiamo nel DNA rinascimentale - per non arrivare fino ai classici - quello di anelare a una certa armonia?) ci racconta una storiella distopica interessante.
Tutto sta lì, nell'ideuzza iniziale, nel giochetto della Francia che s'inchina, in un futuro prossimo, all'Islam e nella parabola metaletteraria dell'insopportabile protagonista (rileggere Controcorrente, la bibbia del Decadentismo, per cogliere appieno questo aspetto).
Ma poi il nostro fenomeno (l'autore, ovvio) non ha, in fondo, il coraggio di andare sopra le righe, di spingersi a raccontarci ciò che succede non appena l'insulso protagonista, senza più rimpianti, da buon inetto, si uniforma al Sistema, al nuovo potere.
Pagine e pagine per fermarsi nel momento in cui si sarebbe dovuto osare.
Sottomissione non è il nuovo 1984, non ne ha la carica visionaria, rimane evanescente, titubante, non fa male. Fa sorridere, fa riflettere - per carità l'intelligenza l'autore la possiede, l'esibisce senza remore, quasi fosse un valore aggiunto nobilitante la struttura - sa anche annoiare.
Un discreto romanzo cui a nulla giovano le incursioni nella gratuità della volgare (nel senso di non raffinata e inutile) e voluta oscenità di alcuni passi (mi si dirà: ma come, non vedi che serve a rimarcare la spoetizzata dimensione esistenziale del protagonista? Sì, sì, lo vedo, lo capisco, ma si poteva fare di meglio).
Un romanzo discreto, scritto da un cervellone.
Ok?
Ma la possiamo dire tutta? Non ci hanno stancato questi profeti del cinismo, questi apologeti del nichilismo, questi corifei della decadenza e dell'inettitudine, queste Cassandre razionaliste e razionalmente visionarie (e in fondo un po' antipatiche, forse anafettive: qui, in tali sconnesse affermazioni, non c'è, lo so, l'ossequio per l'ortodossia critica; si dormirà lo stesso)?
Non abbiamo bisogno ancora di un grande sogno da inseguire?
Di un'ennesima Utopia che ci seduca?
L'Europa è da più di un secolo che ci propina inetti decadenti, decaduti. Struttura e sovrastruttura, direbbe un lettore colto. Possono gli scrittori europei non raccontare la decadenza se il vecchio continente si fa quotidianamente titillare dall'apocalisse?
Struttura e sovrastruttura, si risponderà ancora.
Se vi va bene, va bene così.




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