La superstizione è nemica dell'intelligenza?
Confrontiamo la tematica attraverso la rappresentazione che ne danno due autori lontanissimi nel tempo fra di loro: Petronio e Svevo. L'argomento è trattato con prospettive e funzioni narrative profondamente diverse, riflettendo le epoche e le sensibilità culturali dei rispettivi autori.
Satyricon di Petronio: satira e costume sociale
Nel Satyricon la superstizione è utilizzata principalmente come strumento di satira sociale e caratterizzazione dei personaggi, in particolare nella famosa sezione della Cena Trimalchionis. Questo irrazionale approccio esistenziale è diffuso tra i personaggi, specialmente fra i liberti arricchiti come Trimalchione, che ostentano le loro credenze in modo eccessivo e ridicolo. Basti ricordare l'insistenza di Trimalchione per far sì che gli ospiti entrino nella sua dimora con il piede destro per evitare la sfortuna e la sua ossessione per la morte e i riti funebri.
Petronio non indaga la psicologia profonda dei personaggi, ma ne ridicolizza i comportamenti. La superstizione è un segno della loro rusticitas e della mancanza di vera cultura o humanitas, in contrasto con l'élite romana più scettica o epicurea. Giova concentrare l'attenzione sulla volgarità e l'insicurezza di una nuova classe sociale che, pur avendo acquisito ricchezza, non ha assimilato i valori tradizionali o l'educazione raffinata e nemmeno una solida base culturale.
La prospettiva della narrazione è esterna e oggettiva e ha come obiettivo l'effetto comico e satirico.
La superstizione in Petronio, insomma, è un difetto morale e sociale, non un problema esistenziale.
Il malocchio di Svevo: indagine psicologica e inettitudine
Nel racconto di Svevo, invece, la superstizione è il fulcro dell'analisi psicologica del protagonista e un'espressione della sua profonda inettitudine. Il personaggio, infatti, è un velleitario e presuntuoso uomo di nessuna virtù che cova invidia e odio verso gli altri.
La storia segue le vicende di Vincenzo Albagi, convinto di essere destinato a una carriera di successo, ma che non agisce concretamente per raggiungere i suoi obiettivi. La sua vita è condizionata da un presunto malocchio che lui stesso attribuisce ai suoi numerosi fallimenti. La narrazione procede accostando alla superstizione anche possibili cause razionali dei suoi insuccessi, svelando la debolezza del protagonista e la sua incapacità di prendere in mano la propria esistenza.
Il malocchio, dunque, è una maledizione che Vincenzo crede lo perseguiti. Questa credenza non è un dettaglio pittoresco, ma il motore principale delle sue azioni e inazioni.
La superstizione, insomma, è necessaria come meccanismo di difesa psicologico. Albagi attribuisce a una forza esterna e irrazionale i fallimenti che sono in realtà il risultato della sua incapacità di agire, della sua mancanza di volontà e della sua invidia verso il successo altrui. Il malocchio diventa la giustificazione perfetta per la sua passività, permettendogli di evitare di confrontarsi con la propria responsabilità.
L'influenza della psicoanalisi è evidente in questa esplorazione dell'ossessione e delle nevrosi del personaggio.
La straordinaria modernità di Svevo risulta ancor più evidente se si pensa che il racconto, incompiuto, è scritto tra il 1913 e il 1918, e precorre i tempi. La prospettiva della narrazione è interna e soggettiva, incentrata sul flusso di coscienza e sulle autoanalisi del protagonista. L'autore triestino utilizza la superstizione per esplorare la complessità della mente umana e le autoillusioni che gli individui creano per sopravvivere alla sconfitta esistenziale.
Petronio, insomma, ride della pochezza di una società edonistica e volgare, mentre Svevo indaga l'angoscia dell'uomo moderno e la sua incapacità di affrontare la realtà e i fallimenti del mondo borghese.
Sorprende, infine, quanto lo scrittore triestino utilizzi con cognizione di causa tutto il corollario di simboli edipici (il dirigibile come feticcio fallico emblema della potenza virile; l'accecamento che rievoca il mito di Edipo; il padre e l'oculista che sono trasfigurazioni di un Super Io minaccioso e punitivo; la repressione degli impulsi sconvenienti che si tramuta in forza distruttiva e senso di colpa).
Alla domanda inziale i due autori, questo emerge dall'analisi delle due opere, probabilmente risponderebbero che la superstizione non è propriamente un'amica affidabile dell'intelligenza.
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