Misterioso omicidio al corso di formazione per docenti neoassunti nell’anno scolastico 2007-2008.
All’ultimo banco,
improvvisamente, il professor Cosseddu gridò in preda all’eccitazione: - Aiuto!
Il professor Pace giace qui accanto a me con un coltello conficcato nella
schiena. Io suppongo che qualcuno abbia voluto volutamente recidere qualche
arteria di quelle che poi, cioè, non so se mi spiego… Ritengo, infatti, che non
vi sia altra spiegazione plausibile, anche perché la posizione nella quale il
professor Pace sta sublimando la sua dipartita non lascia alito a dubbi.
Fu allora che, dopo questo
breve ma intenso anelito di speranza, la professoressa P. scattò in piedi
e si rivolse al giovinastro imberbe col dito in cielo: - Daniele, si dice adito.
E qui il professor Cosseddu
ebbe un sussulto e replicò, dopo aver ricordato fra sé e sé quanto fosse
piacevole accarezzare ciuffi d’erba ancora verdi e scrimbazzosi: - Caterina, in
questo delicato frangente non stai utilizzando la famosa intelligenza emotiva
tanto cara al mio omonimo Goleman e all’anonima zia Raimondina Fresi, sua
Maestà.
- Sì, ma non puoi dimenticare
le più semplici regole della grammatica in un posto come questo… sei un docente
d’italiano, perdincibacco!
- Vabbè… ma ora che si fa
con il corpo di questo sventurato? La scena non lascia alito a dubbi: si tratta
di suicidio volutamente volontario. Secondo me è andata così: ha conficcato il
coltello in uno degli incastri del porta pc metallico alle nostre spalle… e poi
si è dato uno slancio profondamente rubizzo con la sedia a rotelle data in
dotazione fino a terminare, misero, la sua corsa contro la lama.
Bussarono alla porta. Tutti
si voltarono volutamente ad osservare i nuovi venuti: Jocelyn, con un
barboncino tedesco nel pieno di un attacco d’asma, e Ilaria T., ciarliera
studentessa del Liceo maddalenino.
- Oh, che sofferenza mi
coglie – esordì la ragazza dalle iridi asperse di amara sapienza e dolorosa –
nel vedere ridotto in cotal guisa un ragazzo come il vecchio caro Filippo Pace,
implacabile ala sinistra di un tempo che non fu mai.
Cosseddu le sfiorò la
guancia e le sussurrò: - Non piangere, tenera bambina dallo sguardo fiabesco
come quello della piccola fiammiferaia quando rimane senza fiammiferi… la vita
è fatta di scale e gradoni, marciapiedi e balconi, serrature e maniglie, chiodi
e papaveri, rugiada e amplessi di topi in cattività babilonese… bisogna accettare
questo carosello insensato che noi, comuni esseri vigenti, chiamiamo
volutamente vita.
- Viventi, Daniè, viventi –
corresse ancora Caterina P., mentre fuori la neve cominciò a coprire ogni
parabrezza, ogni vicinanza del vuoto.
E la storia finisce qua
perché 'sta noia da decerebrati del corso di deformazione per i neoassunti
volge al termine, in un parossismo di putrescenza nullificatrice.
In fondo ieri è un altro
giorno.
E via col vento…
Aprile 2008
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