Raccontami il mare

Non so come sia capitato quaggiù. La stanza è grande, colorata e io sento una bellissima musica: è un sassofono che mi rassicura e mi invita ad andare, a cercare, a non fermarmi mai. Che allegre queste mattonelle a quadri rossi, verdi, azzurri, gialli. Chi sa chi ha pensato questo luogo così piacevole e strano...

Il sassofono mi dice vai, guarda che oltre quella porta c'è qualcosa di bello, non avere paura, non lasci niente e nessuno, ritrovi soltanto quello che ti piace, quello che sei stato e che, nonostante tutto, continui ad essere: un sognatore. Non ci puoi fare niente, mi suggerisce quella melodia, se a volte il grigio intorno ti soffoca, se sembra che ti tolga ogni certezza per consegnarti al nulla della morte, non è colpa tua se da sempre, da quando eri bambino, ami incantarti, fantasticare, ascoltare e raccontare storie.

E se il sassofono fosse nella mia testa? Vado, cullato da quella promessa di bellezza, e penso ai miei figli, al giorno in cui sono nati e li ho presi in braccio e mi hanno dato senso. Vado, esco da quella stanza e mi ritrovo in una camera da letto a cui manca una parete ed è bellissimo perché c'è un prato verde che si distende fino a farsi amico dell'orizzonte.

Cammino... cammino... è primavera, lo sento, nell'aria c'è un sapore di dolcezze che sembravano perdute, ma che sbocciano di nuovo in me. Non sono sicuro, ma credo che sia pomeriggio, uno di quelli di quando si è ragazzi e ci si può smemorare e dimenticare la morte, la noia, la ripetizione.

Il mare all'orizzonte, quello del Grande Pevero, di quando ero bambino, quello che ho raccontato nell'ultimo capitolo della Ballata della regina senza testa: ho tradito quel profondo e sincero desiderio di libertà che ho trasfigurato in quel passo? Quell'azzurro, avanti e indietro, indietro e avanti, è sempre là che mi aspetta. Sapesse quanto lo sogno... quando volo lo vado sempre a cercare, ritorno sempre là.

Anche ora sono qua. C'è una ragazza bionda, di spalle a me, seduta sulla battigia. Sento la sua risata, riconosco il suo profumo, la curva dei suoi lineamenti.

- Perdonami - le dico - se a volte sembra che mi dimentichi di te.

- Non ti allontani mai da me, in fondo, sento sempre che mi cerchi - risponde lei, accondiscendente.

- Non abbandonarmi mai, Arlecchina, io credo solo in te. Sei la mia unica fede.

Lei si volta, mi sorride, mi assolve, lascia cadere la maschera e scopre la letizia del suo volto e nei suoi occhi azzurri, profondi, c'è un tempo in cui le illusioni diventano immagini e quelle immagini un sogno da raccontare.

Si avvicina, mi accarezza il viso, mi prende le mani e m'invita a ballare sulla sabbia al ritmo che le note del sassofono inseguono. E vanno, le onde, avanti e indietro, indietro e avanti e lei e il suo profumo e il sorriso accesso di giovinezza. E le sue labbra rubino su rubino, per tacitare qualsiasi affanno.

- Oggi sono stato male - le dico, mentre danziamo e chiudo gli occhi.

- Lo so - sussurra e mi accarezza il collo - e per questo che sono qua. Sapevo che saresti venuto.

- Torno sempre da te.

- Te l'ho detto, non ti allontani mai veramente da me: quando giochi con i tuoi figli io ti sento. E ti sento quando scrivi, ma anche quando hai una chitarra in mano e ogni volta che ti ricordi che non potrai mai essere diverso da quello che sei sempre stato. 

- Sì... ma...

- Tanto torniamo sempre qua, io e te, lo sai.

- Lo so.

- C'erano già i tuoi figli nei tuoi sogni quando eri bambino, ma allora non potevi capirlo.

Ora dei cavalli bianchi arrivano al galoppo liberi e felici e si buttano fra l'azzurro delle acque. Io e Arlecchina ridiamo perché ci piace fare così da sempre, buttare la testa all'indietro e all'impensata lasciarci andare alle fantasie più buffe.




Lei mi bisbiglia qualcosa all'orecchio mentre la sera scivola su di noi: sono storie, favole e sogni da scrivere, raccontare, vivere, inseguire.

Sono venute le stelle e la nostra danza ci allontana dal mare, ora siamo sopra una grande terrazza, c'è una festa, forse si sposa qualcuno.

- Balla con la sposa - m'invita Arlecchina.

Io ballo con la sposa, la musica che va, la notte nei canti e nei cibi squisiti. La gioia.

All'alba ritorno mano nella mano con Arlecchina verso casa mia, su un fiume vediamo galleggiare la mia chitarra, viene verso di noi, lei la prende, me la porge, e poi continua a raccontarmi di quel ragazzo di quattordici anni che durante il nazifascismo...

- Insomma, la storia la conosci, tel'ho raccontata tante volte: la vuoi scrivere o no?

Io rido: - Ma pensi ne valga la pena? Hai visto quello che c'è in giro?

- Vale sempre la pena di essere quello che si è - mi sorride ancora un volta, fa una piroetta, mi bacia sulla fronte, chiudo gli occhi e... sono pronto ancora una volta a partire da zero, a ricominicare...


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