Sergio Leone: mito e poesia
Scrissi una pagina - una sola - in cui ragionavo sulla rappresentazione dei cattivi nel cinema di Sergio Leone. Era il 2013, un giorno in cui mio padre aveva un esame importante a Sassari e io, che di solito lo accompagnavo, ero dovuto rimanere a casa a tenere la mia piccola Sofia. Quella pagina era la mia reazione all'idea della malattia (implicitamente anche della morte) di mio padre. Un modo per ritornare indietro nel tempo quando, da bambino prima e da ragazzo poi, guardavo con lui i film e quelli del grande regista romano in particolare.
La mia fascinazione per la favola e il mito sono anche il frutto del mio rapporto con papà, da sempre guida, faro illuminante, modello. Anzi, solo ora capisco che potevo permettermi di essere così indolente e bizzarro, sopra le righe o trasognato perché era la sua presenza che mi rassicurava.
Ho sempre, in fondo, coltivato l'idea di girare un western per sentirmi in piena simbiosi con mio padre.
Circa un anno fa, mi pare, forse un po' di più, avevo scritto tre o quattro paginette sul ruolo della bocca e dell'atto del mangiare nel cinema di Sergio Leone: io conosco bene la bibliografia su di lui e mi sono accorto che avevo idee critiche e spunti nuovi che avrei voluto affrontare in un volumetto. Quelle pagine piacquero molto a papà, sono ancora sul desktop del suo computer. Però, come sa chi mi conosce, sono umorale, mille idee (molte non valide, sia chiaro) si rincorrono nella mia testa, e quelle righe si sono fermate. Prima o poi avrei continuato (non ho pagine sparse anche su Ariosto, Svevo, Collodi?) e messo su un lavoro sul mio regista del cuore.
Poi è venuta la fine del 2024. Papà ha scritto cinque righe di un racconto dal titolo Il treno della notte in cui incontrava proprio Sergio Leone come bigliettaio di un treno vecchio e scassato, una locomotiva che non si fermava mai. Con il regista mio padre parlava di politica e di teatro, di Pirandello e proprio dei suoi film. E di me. Papà parlava di me con Leone: - Mio figlio è un critico letterario - così gli diceva.
Ancora non sapevamo quello che di lì a un mese sarebbe successo. Eravamo nel suo studio e io in quel suo racconto, oltre alla geniale trovata ironica che lo concludeva, avevo letto come una fantasia di morte, ma serena. Un po' mi aveva turbato, un po' mi aveva lasciato stupito. Ne avevo parlato con mia moglie. Addosso mi era rimasta una sensazione che non trova parole per essere definita.
Mio padre se n'è andato d'inverno, la mattina del trentuno dicembre. L'ultima chiacchierata con lui era stata su Per un pugno di dollari. Ancora Sergio Leone.
L'inizio del 2025 è straniante.
Gianluca Corda, il Dirigente della mia scuola, da sempre amico e uomo di grande umanità, mi si avvicina e mi dice di prendermi dei giorni di ferie: - Prendi il tempo di cui hai bisogno, vai tranquillo - sono state pressappoco queste le sue parole.
Io Gianluca lo devo ringraziare: in quei giorni, in quelle mattinate di nuvolaglia grigiastra che sembrava piombo, ho sentito che dovevo scrivere quel saggio su Leone: lo dovevo a mio padre e a me. E in quei giorni l'ho fatto.
Mi hanno insegnato che quando si scrive un saggio critico se non aggiungi qualcosa di nuovo rispetto allo stato dell'arte non ha senso farlo. Nessuno aveva mai trattato in maniera approfondita la rappresentazione del corpo, l'atto del mangiare e la bocca, la nuova visione dei buoni come gli innocenti nel cinema di Sergio Leone; e neppure la fenomenologia della poesia nel suo cinema. L'ho fatto io, con tutti i miei limiti, la mia passione e la conoscenza dell'argomento, evitando la suddivisione in capitoli per ogni film (e non considerando Il colosso di Rodi perché non ha nessuna valenza mitopoietica) ma dando una visione d'insieme, utilizzando un approccio critico sincretistico, soprattutto tematico, ma in maniera divulgativa. Poteva mancare la Letteratura? No, specie quella siciliana: Verga, Tomasi di Lampedusa.
Il libro, insomma, è breve e non è scritto in maniera accademica o per iniziati, ma ho scelto una prosa divulgativa, sospesa tra narrazione, analisi, riflessione, malinconia. Voglio che lo possa leggere chiunque conosca Leone, se ne ha intenzione.
Parlo anche di mio padre? Sì, all'inizio, per spiegare da dove nasce il mio amore (perché di questo si tratta) per Leone, senza però rinunciare (almeno questo è il mio intento) alla lucidità critica. Mi prendo, infatti, anche la responsabilità di lasciare intendere che Giù la testa non è, contrariamente a quanto molti studiosi affermano, un capolavoro. Lo sono gli altri cinque film, anche se ognuno con motivazioni diverse.
Ma sentivo che al saggio mancava qualcosa. Era necessaria la prefazione del mio Maestro e secondo padre: Aldo Maria Morace. Solo così il libro poteva avere un senso, per me. La sua prefazione, oltre a essere un onore, ha un valore simbolico potentissimo e tanto evidente che ogni parola di spiegazione risulterebbe inerte e superflua.
Grazie, Maestro.
Il libercolo - così mi piace chiamarlo - è dedicato a papà. Sta arrivando in libreria e non l'ho ancora tra le mani, ma sapere che esiste mi fa stare bene. Tutto quello che ho scritto in passato, se messo insieme e moltiplicato per cento o mille, non ha per me lo stesso valore esistenziale ed affettivo.
Mi sento bene, insomma.
Sento papà nel sangue, più presente che mai.
So che ti piacerebbe, papà. In fondo è come se lo avessimo scritto insieme: sai quante cose che ci siamo detti sono finite in questo libercolo?
Guardo la tua foto qui, nel mio studio, mentre scrivo.
Sorridi.
Il tuo sorriso ironico, quello che mi hai donato, continua.
E tu continui in me e noi nei miei figli...
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