Dubbi esistenziali di una capra: sopra o sotto la panca?

 C'era una volta una capra. Non una capra qualunque, ma una animata dal vezzo di voler essere artefice del suo destino.

Aveva scelto, con piena coscienza, di vivere sopra una panca.

Perché?
Facile: "Sopra la panca la capra campa".
E l'allitterazione — quel dolce scivolare delle consonanti uguali — la faceva sentire al sicuro.
Panca, campa: sembrava che l'universo stesso avesse architettato un gioco di suoni per garantirle la sopravvivenza.

Un giorno, per curiosità o per noia, la capra provò a scendere sotto la panca.
E lì iniziò il dramma.

Sotto la panca, infatti, "la capra crepa".
Una frase dura, secca, senza la dolcezza della "m".
La "r" di crepa morde, graffia, frantuma.
L’allitterazione svanisce, e con essa, forse, anche la fortuna della capra.

Ma era davvero solo una questione di fonetica?
O c’era dell’altro?

Alcuni linguisti da stalla dissero che la colpa era tutta della posizione subalterna.
Sotto la panca si è invisibili, schiacciati, negati.
E la capra, pur colta, non era immune alla gravità delle gerarchie spaziali: chi sta sotto perde, chi sta sopra resiste.

Così si aprì una disputa infinita tra i sostenitori della fonetica salvifica e i partigiani della geopolitica animale.

La capra, intanto, tornò sopra la panca, e comprese che in fondo vivere non è una questione di destino o di grammatica, ma solo di scegliere bene il proprio posto nel mondo.

Preferibilmente sopra.



Commenti

Post popolari in questo blog

Caro papà

Il gattopardo: la trama e la metafora decadente dell'esistenza.

Tu che non ritorni