Farsi del male: leggere Giorgio Faletti

Che gli uomini siano bestie, in genere, alle quali Madre Natura ha fornito con parsimonia ironia e autoironia, ormai credo sia un fatto assodato, almeno per quanto mi riguarda, osservando con quale smania chi mi sta intorno cerca di rimuovere lo iato fra ciò che si è e ciò che si fa in una totale, passionale e nevrotica adesione alle convenzioni, alle regole, alla burocrazia. In altri termini: unilateralità tra forma e sostanza.
E va bene.
Che gli scriventi siano sempre più mi pare un altro dato difficile da contestare.
Ma ciò che mi diverte è quanto segue: il fatto che taluni, credendosi scrittori, difettino, ancor più della media, dell'ironia e dell'autoironia che, molto spesso, non sono che strumenti conoscitivi dell'Io, del Tu, della dimensione in cui si è inseriti.
Questo preambolo (al solito, lo so, barocco, criticatemi) diviene cogente per fare riferimento ad un comico che non mi ha mai fatto ridere, ma che una volta diventato scrivente, con le sue arie da Prometeo ammantato di malcelata immodestia, mi suscita un incredibile buon umore.
Mi riferisco a Giorgio Faletti, lo scrivente che vende milioni di libri e che dichiara, con sapiente capacità di ignorare il ridicolo, di non leggere per non essere influenzato.


Ora, basterebbe questo per giustificare un grado zero di attitudine artistica e un quoziente intellettivo non invidiabile. Ma non basta. Confesso: qualche anno fa ho provato a leggere il suo 'capolavoro' Io uccido (titolo accattivante quanto un antifurto che ti sfracella il timpano alle tre del mattino).
Prime cento pagine: niente a che fare con la letteratura, inesistente capacità di utilizzare persino i mezzi meno sofisticati dell'artigianato letterario; prosa ridondante, vuoto per forma e sostanza, inerte l'immaginario che finge di voler costituire. Incipit di rara bruttezza e scontatezza.
E dai, Filippo, non mollare, vai avanti, troverai qualcosa. E allora altre cento pagine: tecnica dell'accumulo per ovviare all'incapacità strutturale di raccontare; sfondo patinato, americaneggiante e derivativo della peggior specie; grevità strutturale, sintattica, persino, scusate il termine, 'ideologica'.

E qui, l'agnizione: mi sono detto, Filippo, il tempo passa in fretta, la vita è breve. Perché perdere tempo con una tale schifezza? Ebbene sì, ho ceduto. Non ho retto. Faletti vale zero anche come scrivente.

Che abbia venduto tanto e che addirittura piaccia non mi stupisce affatto: siamo in Italia, la sapienza alligna!
Però le sue interviste non le perdo.
Quelle sì che sono dei capolavori!

Commenti

  1. Queste critiche così pacate, così lontane da quel livore che invece dovrebbe suscitare chi adopera tacchi alti mettendo in pericolo le sue sottili caviglie.

    RispondiElimina
  2. L'importante è usare delle fasciature per caviglie. Aiutano!

    RispondiElimina
  3. una gradevole scoperta Filippo Pace,io il romanzo l'ho finito,anche perché ero in un collegio statale ed avevo tempo da perdere ,ma nonostante cio' mi sono detto :
    trattasi di spazzatura rimasticata .
    Leggendo le sue recensioni ho pensato a Giorgio Freda per l'asciutezza e l'indifferenza aristocratica al luogo comune
    Bravo!

    RispondiElimina
  4. Leggo solo ora il commento. La ringrazio.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Per una lettura gotica dei "Promessi sposi"

Ariosto: Alcina, l'illusione e il reale da drogare

Il gattopardo: la trama e la metafora decadente dell'esistenza.