Non è un Valzer?
Dimenticare. Dimenticare
ogni illusione, qualsiasi voglia di ingenuità del passato. Dimenticare, grazie
al sonno, persino la voluttà di perdersi e il terrore di scomparire.
Tanto che importa? Tutto è
vano, scivola via, si ammassa in una valle lunare, immota, sospesa nel
silenzio.
E' penombra il mio
risveglio. Ed un senso di angoscia che avanza fatale dalla gola al petto e mi
fa sentire debole, privo di difese. E' come se avessi dormito una settimana, un
mese. O forse molto di più. Sono vestito, accasciato su un divano. Ho anche mal
di testa, forte, dilaniante, che mi impedisce di essere lucido. Come sono
finito qua? Che cos'è? Una specie di stanza d'albergo? Io non ricordo il mio
nome, chi sono, che cosa faccio qui: il pulsare delle vene nelle tempie affoga
il pensiero e, con esso, la memoria.
In sottofondo, da lontano,
dietro quella porta chiusa, arrivano suoni, voci, musica, risate grasse.
Che voglia di rimanere qui,
disteso, immerso in questo torpore, rassicurato dalla dolcezza di una nostalgia
che non so spiegare, ma che s'insinua piano nelle mie emozioni, si sposa
all'angoscia e al perduto. Mi viene di sorridere, senza motivo.
Ho la bocca impastata
d'amaro, la stoffa del mio abito mi pare strana. Mi viene di pensare, senza
alcuna ragione, che indosso abbia qualcosa che mi crei disagio, come se il
vestito non fosse mio.
Vorrei essere tentato ancora
dall'ombra e dal sonno perché mi sento privo di forze, ma le mie narici hanno
catturato odore di morte, dolciastro. Nauseante.
Allungo le braccia, vicino
alla mia testa c'è un comodino in legno e poi una lampada. Trovo
l'interruttore: la luce è una pioggia di frustate per i miei occhi. Rimango per
un po' a ripararmi dietro le mani, mentre riesco a mettermi seduto. Inspiro,
espiro, poi di nuovo inspiro ed espiro.
Silvia è di fronte a me.
Abito striato di rosso, negli occhi il peccato.
- E la virtù? - mi domanda.
- C'è una ragazza morta su
quel letto - le dico senza scompormi.
Bionda da ferire il mio
amore di un tempo, Silvia con le forbici recide le bretelline dell'abito che
scivola sui suoi fianchi, per terminare la sua corsa per terra.
- Sei pazza - riesco appena
a mormorarle. La fierezza delle sue carni, l'arroganza della sua giovinezza.
- C'è una ragazza morta su
quel letto, l'hai detto tu - sussurra e ride, mentre si libera del reggiseno e
lo lancia su di me.
Il mio amore di un tempo, la
mora dalle iridi infiammate d'oblio: dov'è? Le avevo rubato un bacio sulle
scale, fuori il diluvio, lei che tremava e raccontava di bambole abbandonate e
inquieta sensualità.
Silvia siede accanto a me,
bisbiglia: - Pensi all'oblio, insegui il peccato; la mora e la bionda. Passato
e presente, uguale atemporalità. Non è un Valzer?
- Un Valzer di che?
- Lo sai meglio di me.
Niente più luce.
La corsa a diciassette anni
su per quelle scale, la casa abbandonata e tutti i rivoli della memoria. La
bionda ride, la mora sussulta. Il sangue sulle labbra della prima, l'alcol su
quelle della seconda.
Non è un Valzer?
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