L'ora buca, i colloqui e i ricordi del bambino che fui
Durante l'ora buca passeggio per i vicoli del centro storico di Olbia. Sono passati troppi anni da quando ero bambino e seguivo mio padre in quella che per me era una giornata di vacanza. Saltavo, infatti, un giorno di scuola e andavo con papà e stavo con lui nelle sue classi, lo ascoltavo spiegare, guardavo i suoi alunni che mi sembravano così grandi. Io ero felice, lui mi presentava ai colleghi, scherzava e si divertiva davvero. Poi, passavamo al mercato, quello che ora non c'è più, e prendevamo qualcosa e lui chiacchierava con tutti ed io, timido, provavo una sensazione di benessere che mi veniva dalla sua voce teatrale, dalla sua sicurezza, dal suo amore per la vita.
Oggi le strade sembrano affogare nel vuoto di un presente che mi frastorna. Non avrei mai pensato di poter esperire una così lacerante crisi di senso. Le note di un contrabbasso che tessono melodie cariche di malinconia evocano il cinema e una tristezza infinita mi corre nelle vene.
C'è un palazzo abbandonato, mi fermo a guardare tutta quella vita fuggita via. Chissà chi viveva in quell'edificio, mi chiedo. Chissà quali emozioni e passioni si sono consumate fra quelle mura. Quella fatiscenza mi incanta e forse rende ancor più dolorosa la nostalgia per quel qualcosa che è stato e non potrà essere più.
Vago sempre più trasognato, qualcuno mi saluta, rispondo, ma non so dove sono. Il contrabbasso continua e regalare ai passanti armonie sospese tra il sogno e la dolcezza.
L'immagine di mio padre nella bara mi fa sanguinare il cuore.
Ritorno a scuola a passi lenti, rientro in classe, spiego Pirandello e penso a papà: era il suo autore preferito, lo sapeva spiegare sicuramente meglio di me e lo conosceva certamente di più. Poi interrogo Svevo e Gozzano e ancora la voce di mio padre irrompe quale controcanto rispetto a quella dei miei alunni. Sono seduto alla cattedra, ma sono anche lontanissimo, ho nitidi i ricordi di papà che recita La signorina Felicita e che per la prima volta mi racconta della Coscienza di Zeno.
Finisco alle 14, faccio un salto a mangiare un boccone: fra un'ora ho i colloqui.
Penso al sentimento della vita e alla sua illusorietà struggente, poi mi travolge l'antica angoscia, quella provata sin da bambino al pensiero della morte. Ancora mi perdo nell'immaginare l'infinito e l'eterno e per l'ennesima volta la ricerca del senso si tramuta in sgomento.
Alle 15 sono a scuola, arrivano i genitori. Parlo, ascolto e compatisco tutti noi, condannati un giorno a perdere la luce.
Qualcuno mi fa le condoglianze, qualcun altro ricorda mio padre, una signora mi dice che ho gli occhi tristi. Eccomi travolto nel vortice della vita e del suo caos. Lotto, stringo i denti, ci sono con la testa e con il cuore. Sento le emozioni di chi mi sta di fronte, scorrono i volti dei miei alunni. Quante passioni ed emozioni... quante speranze e paure...
Dopo le 18 esco da scuola, immerso nei fantasmi del mio passato, mi perdo ancora.
Scende la sera e s'accendono fantasie, malinconie m'imprigionano.
Il tempo corre pazzo, un precipitare convulso, affannoso.
Mi dico che dev'essere stato bello venire al mondo, avere tutto da scoprire; e meraviglioso fantasticare. Poi che cos'è che comincia a intorbidare quella felicità assoluta di entrare nel fluire scomposto e travolgente della vita? Ripenso la mia infanzia, rivedo la giovinezza di mamma e papà nei loro volti. Sembra impossibile che io sia davvero cresciuto.
Ora è buio intorno. Guardo la fotografia di mio padre appesa nello studio: sorride nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Parlo con lui, mi mancano la sua ironia e la sua intelligenza. E la sua forza: come hai fatto, papà?
A differenza di altri che nel lavoro trovano un momento di tregua e per un po' dimenticano la perdita dei loro cari per me è il contrario: si rinnova il dolore ogni volta che spiego la letteratura, non appena sfioro la poesia.
E penso a te, al mio professore che non fa ritorno e rivedo noi che andiamo per i campi con i nostri cani - Virgola, Gilda, Argo, Ulisse - e mi sembra impossibile accettare l'idea di dover camminare senza di te.
Caro Filippo, è bello, ed è triste, nel contempo, leggere la tua sconsolata descrizione di un ‘vuoto’ che niente sembra in grado di riempire.
RispondiEliminaUna meravigliosa e commovente dichiarazione di un infinito amore. Mario.
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